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Cosa manca alla geotermia per dispiegare le sue potenzialità, in Toscana come in Italia

Torsello (CoSviG): «È importante che le popolazioni locali sentano la geotermia come una risorsa propria, beneficiandone direttamente. Senza una voce istituzionale autorevole che offra un punto di riferimento, nella cittadinanza crescono i timori»

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Torsello (CoSviG): «È importante che le popolazioni locali sentano la geotermia come una risorsa propria, beneficiandone direttamente. Senza una voce istituzionale autorevole che offra un punto di riferimento, nella cittadinanza crescono i timori»


È stata l’assessora all’Ambiente della Regione Toscana, Monia Monni, ad aprire il workshop La geotermia per la transizione ecologica, organizzato a Roma dall’Università degli Studi “La Sapienza” per fare il punto sul contributo che una fonte rinnovabile come la geotermia può dare allo sviluppo sostenibile del Paese, in termini di approvvigionamenti di energia e lotta alla crisi climatica.

Già oggi infatti in Toscana una lampadina su tre si accende grazie al calore presente nel sottosuolo – la geotermia copre ogni anno circa il 30% della domanda di elettricità, oltre a fornire 384 GWht di energia termica ai teleriscaldamenti di 9 Comuni sede d’impianto –, e questa fonte rinnovabile sarà al centro del percorso di decarbonizzazione indicato dall’Unione Europea.

Per questo, secondo Monni, oggi più che mai è necessario evidenziare il ruolo fondamentale della geotermia in Toscana: una Regione chiamata a raddoppiare la produzione di energia da rinnovabili, obiettivo che vedrà nella geotermia il suo cuore pulsante.

Per la Regione il calore della Terra è un asset strategico, oltre che un veicolo di sviluppo per le comunità locali.

La sfida della transizione si vince infatti creando proposte in armonia coi territori: investire nella geotermia significa investire sulla loro resilienza, renderli più vivibili e attrattivi.

Per questo viene reputato fondamentale fondamentale il rapporto col mondo della ricerca, con lo studio degli impatti ambientali che rappresenta una parte importante della risposta alle preoccupazioni della cittadinanza; preoccupazioni che devono trovare risposte trasparenti e rigorose.

Sotto questo profilo in Toscana è stato pubblicato il recente studio InVetta, frutto di un’indagine epidemiologica senza precedenti sull’Amiata, che mostra l’assenza di impatti significativi sulla salute delle popolazioni derivanti dall’attività geotermoelettrica.

Anche Bruno Della Vedova, presidente dell’Unione Geotermica Italiana (UGI), ha sottolineato che gli impatti ambientali della coltivazione geotermica sono sostenibili, limitati.

Non a impatto zero comunque, perché l’impatto zero non esiste: non solo la geotermia, ma ogni persona ha un impatto ambientale.

Nel merito, il presidente UGI ha evidenziato che è necessaria la ricerca scientifica per continuare a migliorare le performance, ma se non si investe non possiamo migliorare.

A mancare sono una chiare visione e pianificazione energetica, e dunque un’armonizzazione coerente del quadro normativo.

«È importante che le popolazioni locali sentano la geotermia come una risorsa propria, beneficiandone direttamente: è questa l’idea che sta dietro alla nascita del CoSviG – aggiunge la dirigente CoSviG (Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche) Loredana Torsello –, che lavora all’interno di un modello di sviluppo territoriale che punta a rispettare gli interessi di tutti gli stakeholder chiamati in causa, in un’ottica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica; in quest’ottica l’uso diretto del calore è un elemento essenziale per valorizzare ulteriormente la risorsa geotermica. Il quadro legislativo in cui operiamo è di assoluta tutela per i territori e le popolazioni: in Toscana c’è la legislazione sulla geotermia più stringente a livello internazionale, ma tutto è perfettibile. Abbiamo bisogno di rendere più efficiente e meno farraginoso questo contesto, perché come spesso accade nel nostro Paese può essere problematica la messa a terra».

Nel merito, Della Vedova ha riportato in particolare le difficoltà legate ai lunghi tempi autorizzativi, che scoraggiano un investitore che sa di dover attendere almeno dieci anni per iniziare a rientrare dell’investimento.

In geotermia occorre spendere fino a 12 mln di euro per realizzare un primo pozzo esplorativo a 3mila metri, per poi magari scoprire che la risorsa cercata lì non c’è; altrove, come in Germania, esiste la possibilità di assicurarsi per coprire il 70-80% dei costi del primo pozzo non produttivo, limitando non poco i rischi.

In Italia la filiera industriale c’è, all’estero lavora ma qui ha difficoltà a realizzare nuovi impianti – ha evidenziato il presidente UGI – Manca una visione strategica del futuro energetico: serve la politica, con una visione a lungo termine, come servirebbe un’Autorità geotermica nazionale che si occupi del settore. Ma c’è anche un deficit culturale da affrontare, con una corresponsabilità diffusa che Della Vedova non esita a mettere in luce: se fossimo stati più bravi a comunicare cos’è la geotermia ora non avremmo da recuperare così tanto terreno.

Basti osservare ad esempio il contesto maturato in Islanda, dove il mercato geotermico – partito in ritardo rispetto a quello italiano – è giocoforza piccolo (sull’isola si contano meno di 370 mila abitanti) ma molto motivato grazie al deciso supporto istituzionale: qui le centrali geotermiche generano il 25% della produzione di elettricità (in Toscana siamo già attorno al 30%, mentre in Italia il dato è fermo a circa il 2%) e i 9/10 della popolazione islandese riscalda gli edifici grazie al calore della terra, impiegato con profitto anche per attività di serricoltura, itticoltura, in ambiti industriali e turistici.

«Nelle imprese italiane della geotermia le competenze sono molto elevate, ma se i decisori politici non stabiliscono chiare strategie di lungo periodo perdiamo terreno a livello internazionale – ha proseguito Torsello – Serve una visione politica che si declini in atti amministrativi, perché in Italia abbiamo delle buone leggi ma vanno applicate. Gli impianti geotermici non si fanno perché le autorizzazioni non arrivano: è necessario ricostruire un centro di competenze forti che coinvolga tutti gli stakeholder di settore, altrimenti, senza una voce istituzionale autorevole che offra un punto di riferimento tramite messaggi chiari e univoci, nella cittadinanza crescono i timori e anche gli amministratori locali vanno in difficoltà: è una contraddizione che non riusciamo a risolvere».

Si torna dunque all’importanza di una migliore comunicazione sulla geotermia, evidenziata anche da Adele Manzella, primo ricercatore dell’IGG-CNR: proprio i ricercatori sono chiamati ad un maggiore impegno in questo ruolo, in quanto spesso i cittadini hanno una fiducia maggiore nella voce della ricerca scientifica, per definizione super partes.

Non a caso sono le Università che hanno contribuito alla raccolta dei dati e delle indicazioni emerse nel corso di questo workshop.

Ma anche per i ricercatori occorre prudenza e attenzione alle modalità, come ai canali, di comunicazione: se a passare sono messaggi contraddittori e poco chiari, lo sviluppo sostenibile della geotermia non può avanzare.