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Clima, ecco cosa ci aspetta dopo la firma dell’Accordo di Parigi

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Alla firma ufficiale deve seguire la ratifica nei rispettivi paesi, ma è comunque un passo legalmente vincolante

Fonte: greenreport.it

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L’obiettivo dell’Accordo sul clima raggiunto a Parigi da 195 nazioni più l’Ue è quello di contenere il surriscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare 1,5 gradi. Lo scorso dicembre l’Accordo è stato definito, e oggi sarà ufficialmente firmato da buona parte degli stati aderenti, compresa l’Italia. La firma (che è cosa diversa dalla ratificazione) andrebbe accompagnata col deposito dello strumento di ratificazione – sottolineano da Legambiente – ma è comunque un passo legalmente vincolante, in quanto impegna a non intraprendere attività contrarie all’Accordo di Parigi.

La firma dell’accordo costituisce però solo  un primo passo. Perché il testo entri in vigore e produca effetti concreti, almeno 55 paesi, che devono coprire almeno il 55% delle emissioni globali, devono ratificare, approvare o accettare l’Accordo di Parigi. A New York, come non mancano di notare dal Wwf Italia, solo pochi paesi dei 196 firmatari annunceranno una procedura rapida per farlo: «Ci aspettiamo quindi che i leader presenti a New York impostino il lavoro per il successivo incontro di  Bonn, alla riunione delle delegazioni dove si riprenderà il filo dell’incontro di Parigi concludendo ciò che era rimasto in sospeso. È fondamentale ormai che i leader mondiali non solo inviino  segnali forti ai loro negoziatori, ma li istruiscano sugli elementi chiave necessari per dare concretezza all’Accordo di Parigi».

Nel mentre, il 2015 si è confermato l’anno più caldo mai registrato e i primi tre mesi del 2016 sono stati caratterizzati da temperature record. Il Wwf sottolinea che una crescente massa di investitori economici chiede una rapida entrata in vigore e una rapida attuazione dell’accordo: lo hanno fatto in particolare con una lettera sottoscritta da diverse associazioni in rappresentanza di 400 investitori che gestiscono un patrimonio di circa  24.000 miliardi di dollari. Gli investitori sottolineano che i Paesi che aderiranno presto all’accordo di Parigi avranno maggiore certezza normativa, e questo contribuirà ad attirare maggiori investimenti per la decarbonizzazione e per un futuro realmente più sostenibile.

A che punto si trova l’Italia? Ieri il premier Renzi, commentando il referendum sulle trivelle della scorsa domenica, ha aperto a un ulteriore sviluppo delle energie rinnovabili nel Paese e confermando l’obiettivo del 50% di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entro la fine della legislatura.

«Ben vengano i primi chiari impegni annunciati a favore delle fonti rinnovabili dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. È ora che il governo dimostri concretamente e chiaramente quale politica energetica intende adottare, e scelga se sostenere veramente la conversione verso un’economia low carbon o rimanere inchiodato alle fonti fossili – commenta Rossella Muroni, presidente di Legambiente – Ci sono in Italia tante eccellenze da supportare. per questo Legambiente rilancia al Governo le sue tre proposte per incentivare le rinnovabili nel Paese: intervenire con provvedimenti mirati sul biometano (che ha un potenziale di produzione nazionale di 8 miliardi di metri cubi, ossia 4 volte tanto quello del metano estratto dalle piattaforme oggetto del referendum del 17 aprile) e sull’autoproduzione da fonti rinnovabili, e approvare il decreto di incentivo per le rinnovabili non fotovoltaiche. In questo modo si potrebbero superare quelle barriere che oggi impediscono il pieno sviluppo delle energie pulite. Puntare sull’innovazione tecnologica e sulla bioeconomia rappresenta, da subito – conclude Muroni – una grande sfida per il rilancio economico dell’Italia e dell’Europa e per il conseguimento degli accordi sul clima».

A livello internazionale invece, osserva il Wwf, le nazioni devono ora impegnarsi su alcuni nodi per dare  slancio all’Accordo di Parigi: Implementare più azioni efficaci per la  riduzione delle emissioni nell’immediato futuro (quindi prima del 2020); Dimostrare che i cicli di revisione previsti ogni cinque anni possano realmente funzionare, adoperandosi per aumentare i propri impegni prima della messa a punto  prevista per il 2018; Affrontare i punti poco chiari dell’accordo di Parigi su come l’azione per il clima sarà attuata in maniera equa e giusta;Offrire molte più certezze sui finanziamenti per il clima in modo che vi siano risorse sufficienti per la transizione verso un’economia a zero carbonio, nonché per fronteggiare gli impatti ormai inevitabili dei cambiamenti climatici con efficaci politiche di adattamento.