Lo spettacolo è unico, vale l’alzataccia alle 4 del mattino e il freddo. Getti di vapore che sbuffano dal sottosuolo, pozze gorgoglianti di acqua bollente che diventano rivoli e poi torrenti, e tutt’attorno il nulla dei 5 mila metri di altitudine e le cime innevate dei vulcani. Ci sono luoghi della natura dove la poesia e la scienza dovrebbero fare a botte, pretendendo esclusività. El Tatio è uno di questi: si trova sulle Ande del Cile, tra il deserto di Atacama e il confine con la Bolivia. Invece la convivenza è possibile.
GEOTERMIA – Tra queste montagne si aggirano ingegneri geotermici e turisti da ogni parte del mondo. I primi studiano e immaginano come trasformare in corrente elettrica questo strano fenomeno della natura; gli altri arrivano quando è buio e si godono l’alba immersi in una piscina a 35 gradi e cinque sotto zero fuori. Scattano foto e usciranno dall’acqua soltanto quando il sole sarà sorto, riscaldando assai rapidamente l’aria. È in posti come questo parco di geyser e fumarole, assai rari al mondo, che la tecnologia delle fonti rinnovabili ripone ora le sue migliori speranze, per liberare il mondo da un po’ di petrolio e gas serra. È l’energia geotermica. A risalire i vulcani cileni in cerca di calore che scaturisce dalla terra, gli ingegneri italiani ci avevano provato addirittura nel 1921, scavando da queste parti il primo pozzo. A quei tempi già esisteva in Toscana la centrale di Larderello, in provincia di Pisa, pioniera al mondo nella tecnologia geotermica e tuttora una delle maggiori al mondo. Ora Enel Green Power è tornata in Cile, in joint-venture con la società petrolifera statale, con un progetto di lungo termine.
RINNOVABILI – Approfittare di uno dei Paesi più vulcanici (e sismici) al mondo per produrre energia rinnovabile, in una manciata di piccole centrali. Le concessioni sono già una dozzina, e la prima ha già passato i test di affidabilità e di impatto ambientale. Si trova in un altopiano non lontano dalle fumarole di El Tatio, dominato da una collina a forma di panettone chiamata Cerro Pabellon. I tecnici avrebbero preferito iniziare la produzione di energia proprio a due passi dal parco turistico dei geyser, dove venne scavato il primo pozzo. Poi un banale incidente, senza conseguenze ma dall’effetto spettacolare, ha fatto drizzare le antenne e moltiplicato le preoccupazioni di impatto ambientale. A quel punto l’Enel ha preferito dirottare le perforazioni sul vicino Cerro Pabellon, dove il nulla è veramente nulla.
IMPATTO ZERO – L’ingegnere toscano Guido Cappetti, responsabile per la geotermia Enel in America Latina, ci accompagna in jeep lungo i tornanti che salgono oltre i 4.500 metri. A 3.800 si trova il cantiere, dove abiteranno i tecnici, tra cui una decina di italiani, e gli operai locali. Una piccola differenza di altitudine, ma necessaria per avere migliori condizioni di vita. Le uniche presenze vive quassù sono gruppi di vigogne, i docili cammelli delle Ande che un tempo venivano uccisi per la loro pregiatissima lana. E pochi ciuffi di un arbusto chiamato llareta, della quale gli animali si nutrono. Un cartello avvisa che il consorzio della centrale si impegna a rispettare queste due presenze, più alcuni reperti archeologici, cioè tracce di muretti in pietra, ricordo delle mulattiere percorse dagli Incas, il cui impero si spingeva dal Perù fino a qui. «Come si può vedere l’impatto ambientale della geotermia è davvero minimo, siamo in un’area completamente disabitata. Nulla di paragonabile alle esigenze che ci pone un territorio complesso come quello toscano», spiega Cappetti. E poco anche rispetto alle polemiche che in tutto il Sudamerica sta provocando la fame crescente di energia, dove le maxi centrali idroelettriche in Patagonia, sempre qui in Cile, probabilmente non si realizzeranno mai, e quelle nell’Amazzonia brasiliana vanno a rilento. Il funzionamento di una centrale geotermica è piuttosto semplice. Un condotto del diametro di una trentina di centimetri, scavato con la stessa tecnica delle perforazioni petrolifere fino a circa 2 mila metri di profondità, sputa in superficie acqua e vapore. Separati i due elementi si usa il vapore per azionare le turbine e produrre elettricità, mentre l’acqua viene pompata di nuovo nel sottosuolo, come in una caldaia naturale. Dalla centrale una linea aerea di 70 chilometri porta poi l’elettricità alla rete.
INVESTIMENTI – Energia pulita, gratuita ma difficile da ottenere, in luoghi impervi e con un investimento iniziale molto alto. Ogni pozzo costa 10 milioni di dollari, deve andare presto in produzione e soprattutto deve funzionare come sperato. I costi e i lunghi tempi per ammortizzare la spesa, difatti, non rendono conveniente la geotermia se ci sono alternative a buon mercato. Il Cile, per esempio, sta iniziando a occuparsene solo adesso, da quando si sono esaurite le convenienti e abbondanti importazioni di gas dalla vicina Argentina. Prima non ne valeva la pena. L’energia prodotta dal vapore verrà immessa nella rete nazionale cilena, spiegano i tecnici. Ovvio che in qualche modo resterà in zona, ma i 50 MW del primo impianto, a Cerro Pabellon, sono solo una piccola parte delle necessità energetiche di una regione con poca popolazione ma con una fame di watt smisurata a causa delle enormi miniere di rame.
POTENZIALE – Il potenziale del Paese andino è assai più alto: Enel Green Power stima che la geotermia cilena possa arrivare a 70 volte tanto la produzione della prima centrale. L’aspetto più affascinante della geotermia, ammettono gli addetti ai lavori, è l’estrema rarità del fenomeno. Sono pochissimi i posti sulla Terra dove il calore del sottosuolo arriva a profondità relativamente basse (2-3 mila metri appunto), tale da poter essere sfruttato. Ma una volta scoperte queste caldaie sotterranee sono virtualmente inesauribili. In Toscana, dall’inizio del secolo scorso a oggi, non ci sono state grandi variazioni di temperatura. È come se una ricarica continuasse a funzionare dal basso. La tecnologia di pompare l’acqua di scarto nel sottosuolo aiuta poi a mantenere stabile la pressione di queste caldaie naturali. La rarità, si diceva. Con oltre un secolo di know-how, in Italia sono state eseguite ricerche approfondite per vedere se l’impianto di Larderello è replicabile. Ma a parte l’area delle famose fumarole di Pozzuoli, alle porte di Napoli, dove ogni uso industriale è impossibile a causa della forte densità della popolazione, non si sono ottenuti risultati che valesse la pena portare avanti. La geotermia è sempre associata a zone vulcaniche o sismiche. Paesi come El Salvador, Filippine e Indonesia sono già riusciti a risparmiare in modo significativo sui combustibili fossili. L’Islanda è quasi completamente rifornita dai vapori del sottosuolo, e con le acque bollenti si riscaldano tutte le case dell’isola. «Una volta messa a punto, è una tecnologia piuttosto semplice, quella della geotermia», ribadisce l’ingegner Cappetti. «Però l’esperienza è fondamentale per non sbagliare e non spendere soldi a vuoto. Il nostro settore ha costi di investimento simili a quelli delle estrazioni petrolifere, quindi molto alti, ma il prodotto del nostro lavoro, come è ovvio, vale assai meno».
POCO SPAZIO – Alla fine, sia in regioni cariche di storia e cultura come la Toscana sia in luoghi deserti e magici come questo, l’impatto della geotermia è relativo anche rispetto ad altre forme di energia rinnovabile. Il solare e l’eolico su larga scala «occupano» il paesaggio in maniera assai visibile. Le perforazioni geotermiche, invece, occupano poco spazio. Gli scarti di lavorazione sono minimi, essenzialmente vapore e un po’ di anidride carbonica. In alcuni luoghi, piccole quantità di acido solfidrico vengono abbattute con un’apposita tecnologia. Qui in Cile non ce n’è bisogno, ci pensa il vento che scende dalla cordigliera.