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Campi Flegrei, rischio vulcanico ed energia alternativa

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Il vulcanologo De Natale ci illustra aree a rischio, entità del rischio e le azioni di ricerca e prevenzione. “Geotermia, una fonte di energia con impatto ambientale pressoché nullo a differenza del nucleare”. L’intervista

Fonte: Napoli Today.it

Autore: Viviana Graniero

Che una vasta area della nostra terra partenopea sia a rischio sismico e vulcanico è cosa nota alla maggioranza delle persone che la popolano. Nel caso specifico dei vulcani, sono persino 3 le aree (anche molto vicine tra loro) a rischio, con crateri attualmente attivi e quindi potenzialmente pericolosi: il Vesuvio, i Campi Flegrei ed Ischia.

L’area dei Campi Flegrea, ritenuta ad alto rischio vulcanico, è nota per i fenomeni di bradisismo (legati appunto al vulcanismo) che consistono in un “periodico abbassamento (bradisismo negativo) o innalzamento (bradisismo positivo) del livello del suolo, relativamente lento sulla scala dei tempi umani (normalmente è nell’ordine di 1 cm per anno), ma molto veloce rispetto ai tempi geologici”. Eppure la questione è certamente molto meno nota rispetto a quella della pericolosità del Vesuvio. Parliamo di bocche che potrebbero aprirsi ovunque nell’area di 3 km (e quindi non di un unico cratere), con il rischio di un’eruzione disastrosa in zone ad alta densità abitativa. Ma, c’è da sottolineare, le eruzioni di tale entità sono state molto rare nel corso della storia.

Ne abbiamo discusso in maniera più approfondita con il Professore Giuseppe De Natale, Dirigente di Ricerca INGV – Osservatorio Vesuviano e Responsabile dell’Unità ‘Dinamica dei Sistemi Vulcanici e Geotermia‘, che ci ha spiegato nel dettaglio qual è la zona da considerarsi a rischio, l’entità del rischio stesso, le azioni messe in campo, l’operato della ricerca e, dettaglio molto significativo, per concludere ci ha illustrato che tipo di ricchezza si può ricavare da una terra con queste particolarità, descrivendoci i benefici derivanti dallo sfruttamento di una fonte di energia alternativa come quella geotermica, completamente pulita, eco-compatibile ed eco-sostenibile e, con l’implementazione della ricerca, con il tempo anche economica. Insomma una vera e concreta alternativa al nucleare, in grado di sostituire i combustibili fossili, garantendo energia in maniera continuativa, sicura e costante.

La zona flegrea è considerata altamente sismica e cosa significa questo nello specifico? Qual è la situazione ed il pericolo reale al momento?
L’area flegrea non ha un alto rischio sismico perché, sebbene potenzialmente soggetta al verificarsi di piccoli terremoti, la massima magnitudo attesa è intorno a 4, quindi assolutamente non pone particolari rischi per i fabbricati (per intenderci, in termini energetici un terremoto di magnitudo 4 è circa 5000 volte minore di quello di L’Aquila). Invece, l’area dei Campi Flegrei è caratterizzata, come il Vesuvio, da alto rischio vulcanico (il rischio è il prodotto della probabilità di eruzione per i danni che produrrebbe).

Ci fa capire qual è la differenza con il pericolo di un’eruzione del Vesuvio? E perché è meno nota la questione flegrea rispetto a quella del grande vulcano?
Il rischio di eruzioni nell’area flegrea è percepito molto meno del Vesuvio semplicemente perché, mentre quest’ultimo ha avuto un’attività eruttiva molto frequente dal 1631 fino all’ultima eruzione del 1944, l’ultima eruzione dei Campi Flegrei, ed unica in epoca storica, risale al 1538. I Campi Flegrei, come il Vesuvio, hanno una tipologia di eruzioni esplosiva; poiché anche il grado di urbanizzazione delle due aree è simile, anche il rischio è abbastanza simile. In realtà, le massime eruzioni possibili ai Campi Flegrei (eruzioni ignimbritiche) sono significativamente più devastanti delle massime eruzioni possibili al Vesuvio (pliniane). Fortunatamente, tali eruzioni (avvenute nelle epoche più recenti 39.000 e 15.000 anni fa) sono estremamente rare, mentre le eruzioni più probabili sono quelle di minore entità.

Qual è esattamente l’area urbana in pericolo e quali studi sono attualmente messi in campo per verificare e controllare l’attività sismica e vulcanica?
A differenza del Vesuvio, in cui tutte le eruzioni avvengono dal cratere centrale, ai Campi Flegrei una bocca eruttiva può aprirsi virtualmente ovunque, in un’area compresa entro un raggio di circa 3 km con centro in Pozzuoli. Quindi, diversi comuni (Pozzuoli, Baia, Bacoli, Quarto, ecc.) più l’area occidentale di Napoli (Bagnoli-Fuorigrotta) sono potenzialmente a rischio. L’area dei Campi Flegrei, come quella del Vesuvio, è tra le più sorvegliate al Mondo per il rischio vulcanico. L’Osservatorio Vesuviano-INGV dispone, in queste aree, delle più avanzate reti di monitoraggio sismico, deformativo, gravimetrico, geochimico. Tutte queste apparecchiature, che sono in costante ampliamento ed aggiornamento man mano che la ricerca e la tecnologia avanzano, servono a rilevare con il più largo anticipo possibile i segnali che precedono le eruzioni, per poter predisporre procedure di allarme e di evacuazione.

Sono già stati previsti piani di prevenzione ed evacuazione della zona? E se sì, sono sufficienti secondo Lei a garantire la sicurezza?
I primi piani di emergenza per l’area flegrea datano dagli anni dei grandi episodi di bradisisma, avvenuti nel 1969-1972 e 1982-1984. Attualmente sono in fase finale di elaborazione nuovi piani, aggiornati, di emergenza, sul tipo di quello elaborato per il Vesuvio. Normalmente, i piani di emergenza sono predisposti per ottenere il massimo livello possibile di salvaguardia per la popolazione. Ovviamente, quando si tratta di fenomeni naturali, c’è sempre un residuo margine di rischio. Qualunque piano di emergenza, comunque, funziona al meglio se c’è la massima collaborazione dei cittadini, quindi quando è massimo il grado di fiducia nelle Istituzioni.

Com’è, su questo versante, il rapporto che le Istituzioni competenti mantengono con voi scienziati? C’è collaborazione? Le ricerche e gli studi sono aiutati e finanziati?
Tradizionalmente, a partire dai fenomeni di bradisisma iniziati nel 1969, c’è sempre stata stretta collaborazione tra le Istituzioni e gli Istituti di ricerca nella gestione di crisi di tipo vulcanico. La grande emergenza del 1982-1984, ad esempio, è stato probabilmente il migliore esempio di gestione di un’emergenza dovuta a fenomeni naturali in Italia (ed anche nel Mondo). Nel 1984, la cittadina di Pozzuoli (circa 40.000 persone) fu completamente evacuata a causa della grande deformazione del suolo (3.5 metri in 15 anni), dei frequentissimi terremoti e del rischio eruzione, in maniera assolutamente ordinata ed efficiente, e gli abitanti trasferiti nella ‘new town’ di Monteruscello, costruita a tempo di record in pochi mesi con fondi pubblici proprio per evacuare Pozzuoli. All’epoca, l’Osservatorio Vesuviano, le altre Istituzioni scientifiche e la Protezione Civile gestirono in maniera esemplare la crisi, che durò più di due anni.

Parliamo di Geotermia, nuovo orizzonte per l’energia alternativa, questione non secondaria in Italia, anche a ridosso del referendum che ha appena bocciato il nucleare . Si può sfruttare questo tipo di energia in una zona come la nostra? E qual è secondo lei il rapporto attuale tra costi e i benefici?
La Geotermia rappresenta la più grande ricchezza energetica che abbiamo in Italia. Le sorgenti di bassa temperatura (tra 40°C e 90°), presenti a profondità sfruttabili in gran parte della penisola, possono essere impiegate per il teleriscaldamento di edifici, serre, ecc., con benefici economici enormi. Quelle di più alta temperatura, presenti in abbondanza in Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Sardegna, Tirreno Meridionale (aree vulcaniche off-shore) e probabilmente in altre aree non ancora esplorate in tal senso, sono preziose perché permettono la generazione di grandi quantità di energia elettrica. Pochi sanno che in una piccola area della Toscana (Larderello-Amiata), dove è nata questa tecnologia più di cento anni fa, la potenza elettrica installata (800 MW, pari al 25% del fabbisogno Toscano ed 1.8% nazionale) è pari a quella di una grande centrale nucleare. Per quanto ne sappiamo oggi (ma le stime sono destinate a crescere in funzione dell’esplorazione dettagliata di nuove aree) l’energia elettrica da fonte geotermica potrebbe verosimilmente sostituire, già in un periodo di 10-15 anni, quella delle 4 centrali nucleari che si volevano costruire in Italia nei prossimi 20-30 anni. E stiamo parlando di sistemi di generazione estremamente economici, che non hanno bisogno di particolari incentivi. Però, le nuovissime tecnologie geotermiche, per ora ancora costose, se opportunamente incentivate a livello di ricerca potrebbero forse consentire, in futuro, quote di produzione elettrica capaci di sostituire completamente i combustibili fossili. Nell’area napoletana, la geotermia è un’opportunità enorme: in futuro, tutta l’area metropolitana di Napoli potrebbe convenientemente essere riscaldata con il calore del sottosuolo, reperibile quasi ovunque entro poche centinaia di metri di profondità. Inoltre, il potenziale di generazione elettrica delle sole aree Campi Flegrei ed Ischia è sostanzialmente simile alle aree toscane. È da sottolineare che, con le moderne tecnologie, la geotermia, anche per la produzione elettrica, è una fonte altamente sostenibile ed eco-compatibile, con impatto ambientale pressoché nullo. Inoltre, è una fonte continua, a differenza del solare ed eolico, quindi a parità di potenza un impianto geotermico produce molta più energia, e può essere utilizzata per sostenere i carichi elettrici di base, in maniera assolutamente analoga alle fonti fossili e nucleare. Il territorio Italiano, caratterizzato da alto rischio sismico e vulcanico, è assolutamente inadatto al nucleare, mentre rappresenta l’ambiente ideale per la risorsa geotermica.