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Cambiamenti climatici, dall’Europa vincoli ma senza “politiche”

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Ospitiamo questo interessante intervento dell’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini, in cui vengono criticate le ipotesi di irrigidimento dei vincoli alle emissioni di gas serra in discussione a Bruxelles. Che sono definite, insieme, inefficaci a livello globale, e costose per la nostra economia

Fonte: La stampa

Autore: Corrado Clini*

Il V rapporto IPCC sta riproponendo in questi giorni sui media “l’emergenza clima”. Le emissioni continuano a crescere nonostante la crisi economica degli ultimi 5 anni, nonostante la diminuzione delle emissioni degli USA per l’impiego di shale gas in sostituzione del carbone per la generazione elettrica, e nonostante l’Europa abbia consolidato un trend di riduzione. I paesi in via di sviluppo e le economie emergenti contribuiscono oggi ad oltre il 60% delle emissioni globali, mentre nel 2000 erano il 45%. In cima alla lista degli «emettitori» c’è la Cina.  
 
Oggi l’Europa contribuisce alle emissioni globali con poco più dell’11%. In questo scenario l’impegno unilaterale dell’Europa per la riduzione del 40% delle emissioni ha effetti marginali sulla riduzione delle emissioni globali, e comporta rischi per la competitività dell’economia europea. Peraltro il «buon esempio» europeo non è stato seguito dagli altri paesi, e l’approccio unilaterale è fallito con la Conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici del dicembre 2009, dove le altre grandi economie rifiutarono di assumere impegni vincolanti di riduzione delle emissioni sulla base dello schema del Protocollo di Kyoto.  
 
In questa prospettiva, l’Europa dovrebbe essere concentrata nella definizione delle regole e dei meccanismi capaci di promuovere la crescita di un’economia globale decarbonizzata, e passare dall’approccio regolatorio unilaterale ad una strategia di leadership tecnologica nei settori chiave per lo sviluppo sostenibile del pianeta. Insomma, non proprio gli impegni vincolanti e unilaterali che l’Europa si appresta ad assumere a «prescindere».  
 
Secondo il rapporto Valutazioni di impatto del quadro di riferimento al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche presentato dalla Commissione europea, il costo dell’assunzione di ulteriori impegni di riduzione delle emissioni sarebbe contenuto e pari allo 0,15-0,54% del PIL nel 2030 rispetto allo scenario di riferimento. Tuttavia questa valutazione assume uno scenario di riferimento 2011-2030 caratterizzato da un forte aumento in termini reali dei costi del sistema energetico europeo pari al 34%, in particolare per l’aumento del 40% dei prezzi delle importazioni di energia che riguardano tutti i combustibili fossili, la necessità di effettuare importanti investimenti nelle infrastrutture per sostituire gli impianti obsoleti e ampliare le reti, e per rispettare le politiche concordate per il conseguimento degli obiettivi del «Pacchetto energia-clima» al 2020.  
 
Sulla base di quanto emerge dal rapporto non si capisce perché l’Unione Europea non assuma da subito politiche condivise e armonizzate tra gli Stati membri per modificare lo scenario di riferimento in una direzione «efficiente e decarbonizzata», con misure urgenti in materia di fiscalità energetica, per favorire tecnologie e combustibili a basso contenuto di carbonio; esenzione dai vincoli del fiscal compact per gli investimenti destinati a infrastrutture e tecnologie per la riduzione delle emissioni; riduzione dei sussidi ai combustibili fossili.  
 
L’Italia non ha rispettato gli obiettivi del Protocollo di Kyoto ed è lontana dall’obiettivo di riduzione delle emissioni del 40%, nonostante l’intensità di carbonio della nostra economia sia inferiore alla media europea. Nonostante gli interventi effettuati per la promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, e nonostante il «robusto» contributo della crisi economica alla riduzione dei consumi energetici e delle emissioni, a fine 2012 il gap dell’Italia rispetto all’obiettivo del Protocollo di Kyoto per il periodo 2008-2012 è del 9%.  
 
Se confrontiamo i dati dell’intensità energetica dell’economia italiana (emissioni rispetto al PIL) con quelli delle altre economie europee, emerge con chiarezza che se l’Italia dovesse avere un obiettivo di riduzione impegnativo, come avvenuto in passato, il costo marginale per la nostra economia sarebbe molto più alto in relazione agli altri paesi che hanno un’intensità energetica più elevata. In ogni caso, l’obiettivo di riduzione del 40% è distante e richiede forti misure integrative su tutti i settori dell’economia.  
 
* Ministro dell’Ambiente del governo Monti