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Brescia, una miniera di acqua bollente

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Il geologo: «Ideale per il riscaldamento domestico; potrebbe realizzare un impianto da 15 megawatt termici»

Fonte: Corriere della Sera, Cronaca di Brescia

Autore: Pietro Gorlani

«Quello scoperto a Brescia è un serbatoio geotermico davvero importante. Certo, lo dobbiamo caratterizzare. E realizzare un pozzo esplorativo. Ma se venissero confermate le sue potenzialità si potrebbe partire con la realizzazione di un impianto da 15 megawatt termici, per arrivare anche a 60 megawatt» (il termoutilizzatore cittadino ha una potenza installata di 640 megawatt). Parola di Fabio Carlo Molinari, geologo parmense (lavora per la Regione Emilia Romagna) tra i massimi esperti delle risorse geotermiche del Nord Italia.

È lui ad aver individuato la presenza di una falda di acqua a 90°C sotto il suolo della Leonessa e di un lago d’acqua calda (60°C) a soli 800 metri sotto Sassabanek a Iseo. Una temperatura assolutamente superiore alle aspettative, visto che ad un chilometro di profondità la temperatura media del sottosuolo lombardo non supera i 40°C, che diventano 70 se si scende di un altro chilometro. «Nei primi cento metri di crosta terrestre troviamo una temperatura che oscilla tra i 13 e i 15°C – spiega il geologo – Mediamente sale man mano ci avviciniamo al centro della terra, di tre gradi ogni cento metri. Ma non mancano le eccezioni. Come Brescia ed Iseo». Subito una premessa. Il sottosuolo bresciano non è certo bollente come quello di Toscana e Lazio, veri paradisi della geotermia, con temperature che superano abbondantemente i cento gradi già a mille metri. Lì possono prosperare impianti che sfruttano calore per la produzione di energia elettrica (leggi Larderello). «In pianura Padana e nel Bresciano, grazie all’abbondanza di acqua, può avere invece un ottimo futuro la geotermia a bassa entalpia, quella che tramite pompe di calore sfrutta l’acqua di falda e riscalda case ma anche interi quartieri».

A Orzinuovi intorno ai 1.600 metri si trova una falda a 55°C: da sola non basterebbe ad alimentare un piccolo impianto di teleriscaldamento ma se opportunamente riscaldata con una pompa di calore potrebbe portare ad un grande risparmio. Altro caso è quello di Brescia e della Franciacorta. Nel capoluogo si potrebbe davvero estrarre acqua calda direttamente per integrare il teleriscaldamento.
Il direttore di A2A, Paolo Rossetti, al Corriere ha ipotizzato che quella falda possa non bastare. «Si potrebebro studiare forme di re-iniezione dell’acqua estratta – spiega Molinari – Ci sono già esempi simili importanti a Ferrara, dove un teleriscaldamento geotermico funziona da ben 25 anni». Altre zone della provincia però potrebbero riservare «calde» sorprese. Molinari, nel suo studio, è partito dalla rudimentale mappatura geotermica effettuata da Enel e Cnr negli anni Ottanta.

Che a loro volta sono partiti dalle trivellazioni fatte dall’Eni di Enrico Mattei tra gli anni Cinquanta e Sessanta alla ricerca di metano. L’Agip all’epoca non era interessata all’acqua calda; ma fortunatamente nei mappali è rimasta traccia di quei ritrovamenti. «È una caratterizzazione di massima mentre servirebbero ricerche più approfondite perché le risorse cambiano a distanza di pochissimi chilometri. Ad esempio la falda profonda sotto Castegnato è ben più calda rispetto a quella del vicino Ospitaletto». Insomma, anche Molinari insiste sulla necessità, da parte delle istituzioni, di finanziare la ricerca com’è avvenuto in Germania o in Francia. L’Italia e la Lombardia, da Cenerentola del geotermico, si potrebbero trasformare in principesse