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Biocarburanti e uso del suolo

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Un’accorta “politica agro-energetica” potrebbe garantire risultati interessanti per i suoli italiani e farci rispettare l’obiettivo di sostituire 2020 almeno il 10% dei carburanti fossili in commercio con carburanti alternativi

Fonte: greenreport.it

Autore: B.Croce,L.D’Avino,L.Lazzeri-Chimica Verde

 

La sfida più complessa tra gli obiettivi assegnati dall’Unione Europea nella lotta per il clima riguarda senz’altro i trasporti, e in particolare l’obbligo per ogni Stato membro di sostituire al 2020 almeno il 10% dei carburanti fossili in commercio con carburanti alternativi. Se nel caso della produzione di elettricità e calore infatti esistono ormai diverse tecnologie commercialmente valide, per alimentare i motori delle nostre auto non ci sono molte alternative. Il continuo aumento di efficienza delle rinnovabili può farci sperare di disporre fra qualche anno di auto elettriche o a idrogeno con rese energetiche ed economiche accettabili, ma nel frattempo dobbiamo affidarci alle colture agricole come fonte di carburanti liquidi. Si calcola che due terzi del fabbisogno al 2020 di carburanti alternativi in Europa sarà fornito dal biodiesel (derivato principalmente da olio di colza e girasole), un terzo dal bioetanolo (derivato da mais e altri cereali) e una quota marginale dal biometano. Il 10% dei carburanti è una quota enorme: solo in Italia, malgrado il progressivo calo di consumi di benzina dal 2002 a oggi, richiederebbe 3,5-4 milioni di tonnellate di biocarburanti. Se dovessimo produrre tutto da noi usando colture energetiche dedicate, occorrerebbero oltre 5 milioni di ettari, ossia l’intera superficie nazionale attualmente utilizzata per i cereali a uso alimentare. Con effetti ovviamente devastanti sulla nostra bilancia alimentare, sulla biodiversità e forse sullo stesso bilancio della CO2, che ricordiamolo è il principale obiettivo per cui l’Europa ci chiede di adottare carburanti alternativi. Per questo motivo diverse associazioni ambientaliste e la stessa Unione Europea stanno concentrando l’attenzione sul concetto di “cambio d’uso indiretto del suolo” che avviene quando si seminano colture energetiche su terreni in precedenza destinati a colture alimentari.
D’altra parte rinunciare all’obiettivo 10% implicherebbe la scomoda scelta di importare biocarburanti dall’estero (come del resto stiamo già facendo) o di pagare multe salate per le inadempienze. Ma è proprio inevitabile il conflitto tra produzione di biocarburanti e produzione di cibo? I pareri tra gli stessi esperti è discorde, come ha mostrato la bella e accesa discussione dell’incontro recentemente organizzato a Terra Futura da Legambiente e Chimica Verde. E’ evidente che l’agricoltura non può risolvere i problemi del fabbisogno energetico della nostra società e l’obiettivo del 10% forse è troppo ambizioso se dovessimo colmarlo solo con biocarburanti. Tuttavia un’accorta “politica agro-energetica” (utopia nell’attuale contesto italiano) potrebbe garantire risultati interessanti per i suoli italiani. Suoli poveri, in quanto progressivamente privati di sostanza organica da decenni di gestione chimica delle coltivazioni in monosuccessioni di cereali (mais su mais al Nord, grano su grano al Sud), fino a giungere in alcune aree meridionali a condizioni di pre-desertificazione.
In sintesi i cardini di una buona politica nazionale dovrebbero essere i seguenti:
       ogni Regione dovrebbe pianificare, sulla base delle risorse disponibili, quanto cibo e quanta energia può produrre il suo territorio (del resto è richiesto dalla mitica “Burden Sharing”, ossia la quota con cui ogni Regione dovrebbe contribuire agli obiettivi nazionali sulle rinnovabili);
       il nodo cruciale è la produzione di biodiesel in alternativa al gasolio, che ormai sfiora quasi il 70% dell’intero consumo nazionale di carburanti (25 Mton su 36 Mton nel 2010). A questo scopo si possono introdurre diverse specie e varietà oleaginose (colza, girasole, brassica carinata) non in sostituzione, ma in rotazione con cereali a uso alimentare, con un effetto migliorativo sul terreno e sulle colture che si avvicendano. Oltretutto, nello stato di crisi dell’agricoltura italiana, l’introduzione di colture energetiche in rotazione, adeguatamente incentivate, potrebbe fornire un’integrazione al reddito e frenare l’abbandono dei campi;
       adottare il criterio della bioraffineria: è insensato non pensare a filiere integrate che riutilizzino tutti i diversi scarti produttivi o coltivare una pianta per utilizzare solo una piccola quota della sua biomassa. Diverse specie, oltre a fornire olio dal seme, possono fornire materie proteiche per la zootecnia oppure fertilizzanti o ammendanti naturali oltre a numerose altre materie di base per la chimica fine e secondaria;
       un contributo importante all’obiettivo italiano può derivare dal biometano, ossia dal biogas depurato. Il nostro Paese dispone di notevoli fonti di produzione di biogas senza necessità di intaccare i suoli a uso alimentare: deiezioni animali, residui agroalimentari, parte umida dei rifiuti solidi urbani;
       una politica adeguata di incentivi fiscali: senza riduzione dell’accisa sui biocarburanti, oggi i petrolieri italiani trovano più conveniente importare circa il 70% del biodiesel attualmente utilizzato, principalmente dall’Argentina, malgrado il nostro Paese disponga della capacità produttiva più ampia di Europa: circa 2,5 milioni di tonnellate annue.
Questo insieme di politiche ci permetterebbe di colmare, senza danni all’agricoltura, una quota importante dell’obiettivo 10%. Ma per centrare in pieno l’obiettivo, abbiamo assoluta necessità di indirizzare la ricerca e sviluppo dell’industria nazionale in due settori principali:
       biocarburanti di nuova generazione: Mossi&Ghisolfi col suo nuovo impianto in Piemonte e altri produttori nel mondo scommettono seriamente sui biocarburanti di seconda generazione, che permetterebbero rese più elevate da biomasse di minor pregio;
       puntare sull’auto elettrica. E qui il ruolo cruciale è di Fiat Auto, che ha sviluppato finora la politica europea più avanzata sull’auto a metano e sui motori bi-fuel, ma che diversamente da altre case europee non ha colto finora la sfida dei motori elettrici.
Infine, ma sicuramente è l’obiettivo prioritario, coglieremmo più agevolmente la sfida del 10% con una decisa politica in favore del ferro, a partire dall’ampliamento delle reti metropolitane, in modo da ridurre sensibilmente gli usi e i consumi impropri dell’auto in città.