Il 100% degli impianti controllati dall’Agenzia presenta valori inferiori ai limiti di emissione, mentre l’esposizione al mercurio cui è sottoposta la popolazione del monte Amiata è più bassa di quella normalmente rilevata nelle aree urbane
L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) ha presentato l’edizione 2020 del tradizionale Annuario dei dati ambientali della Toscana, suddiviso in sei aree tematiche (aria, acqua, mare, suolo, agenti fisici e sistemi produttivi).
In tutto sono 96 gli indicatori proposti da ARPAT per rappresentare lo stato dell’ambiente a livello regionale, con un focus dedicato agli impianti geotermici presenti sul territorio.
Al proposito, è utile ricordare che ARPAT rappresenta l’istituzione scientifica, pubblica e indipendente, che è chiamata a garantire il controllo delle centrali geotermiche e delle emissioni provenienti da tali impianti.
Come?
Verificando ad esempio l’efficienza di abbattimento del mercurio e dell’acido solfidrico da parte degli impianti di trattamento AMIS e l’efficienza del sistema di abbattimento dell’ammoniaca e dell’acido solfidrico in entrata alle centrali.
In totale, su un totale di 36 gruppi produttivi presenti in Toscana, nell’ultimo anno sono stati effettuati controlli alle emissioni su 10 stabilimenti diversi – ovvero Nuova molinetto (PI), Sesta 1 (SI), Cornia 2 (PI), Selva 1 (PI), Bagnore 3, 4 g.1, 4 g. 2 (GR), Piancastagnaio 3, 4, 5 (SI) – ma i controlli totali sono stati 16, in quanto alcuni ripetuti sulla stessa centrale.
Sette controlli hanno riguardato l’intero stabilimento (AMIS + torre refrigerante) mentre gli altri nove hanno riguardato solo l’impianto di abbattimento AMIS.
Sono stati sottoposti a controllo anche gli impianti di abbattimento dell’ammoniaca presenti nelle centrali di Bagnore 3 e Bagnore 4.
Come spiega ARPAT, nei 16 controlli effettuati su 10 impianti diversi «non si sono riscontrati superamenti dei valori limite di emissione (Vle) per i parametri autorizzati (mercurio, acido solfidrico e anidride solforosa). Anche l’efficienza dei sistemi di abbattimento dell’ammoniaca e dell’acido solfidrico per i tre gruppi di Bagnore è risultata superiore al valore limite (minimo) di cui agli specifici atti autorizzativi».
Dunque, ARPAT ha riscontrato uno 0% di impianti con irregolarità, un dato migliore di quello rilevato nel corso del 2018 (6%, con irregolarità di tipo amministrativo).
Più nel dettaglio, per quanto riguarda le emissioni di inquinanti come acido solfidrico (H2S), mercurio (Hg) e anidride solforosa o biossido di zolfo (SO2), i controlli ARPAT hanno verificato che il 100% degli impianti controllati presenta valori inferiori ai limiti di emissione (come nel 2018).
In proposito, l’ARPAT sottolinea che oggi tutte le centrali sono dotate di un sistema di abbattimento di mercurio e di acido solfidrico presenti nei gas incondensabili, denominato AMIS, in grado di abbattere fino al 99% dell’acido solfidrico che si ripartisce nel gas in uscita dal condensatore.
La parte restante di acido solfidrico si ripartisce, anziché nel gas, nelle condense, e una quota di essa viene emessa allo stato aeriforme dalle torri refrigeranti causando, talvolta, il superamento della soglia di percezione olfattiva (l’acido solfidrico emesso dalle centrali geotermoelettriche costituisce la sostanza dal caratteristico odore di “uova marce”).
Anche la formazione di SO2 è una conseguenza dell’abbattimento dell’idrogeno solforato, a seguito della sua ossidazione catalitica all’interno dell’impianto AMIS; per evitare che il biossido di zolfo venga emesso in atmosfera – tra gli inquinanti atmosferici è il principale responsabile della formazione delle piogge acide –, prima di uscire dall’impianto di abbattimento viene fatto passare nella colonna di lavaggio, dove si solubilizza nella condensa che rientra nel circolo di impianto.
Guardando infine al mercurio, ARPAT ricorda che è si tratta di un elemento presente in forma naturale, in ambiente, con valori di 2-4 ng/m3 misurati in zone remote, lontane da industrie e prive di anomalie geologiche locali, mentre nelle aree urbane sono normalmente misurati fino a circa 20 ng/m3.
Se questo è il contesto di riferimento, le determinazioni dei livelli di esposizione da mercurio della popolazione della zona del monte Amiata «dovuti alla somma dei due contributi, componente naturale (in presenza di una significativa anomalia geologica) più la componente emissiva delle centrali geotermoelettriche, dimostrano valori molto lontani dal valore limite di cautela sanitaria stabilito dalle linee guida internazionali (WHO, ATSDR, EPA), che è di 200 ng/m3 mediato su base annua. Nell’area del monte Amiata – conclude l’Agenzia – si registrano dati spesso paragonabili ai livelli di fondo naturale, ovvero per lo più compresi fra 2-4 ng/m3 con alcuni picchi a 8-20 ng/m3; fra l’altro i dati determinati da ARPAT sono registrati su base oraria invece che su base annua, per questo maggiormente cautelativi».