Home Cosvig Archiviato l’atomo, serve un piano energetico strategico mondiale

Archiviato l’atomo, serve un piano energetico strategico mondiale

626
0
CONDIVIDI
Appare piuttosto chiaro che la progressiva uscita dalle fonti fossili verso una prossima – parliamo al 2040-2050 – produzione totale di energia da fonti rinnovabili non sarà né semplice, né indolore, né esente da stop and go, né possibile senza un utilizzo maggiore – in fase transitoria – del gas.

Fonte: greenreport.it

Autore: Alessandro Farulli

 

Il disastro di Fukushima sembra aver cambiato per sempre, o perlomeno a lungo, le strategie energetiche mondiali. In molti si interrogano su quali saranno gli scenari futuri e le versioni anche degli esperti sono discordanti. A parer nostro, seguendo un ragionamento logico, appare piuttosto chiaro che la progressiva uscita dalle fonti fossili verso una prossima – parliamo al 2040-2050 – produzione totale di energia da fonti rinnovabili non sarà né semplice, né indolore, né esente da stop and go, né possibile senza un utilizzo maggiore – in fase ripetiamo transitoria – del gas.
Il tutto ora accelerato dall’uscita dal nucleare annunciata – vediamo poi se verrà confermata dai fatti specialmente dalla Germania – da molti Paesi specialmente in Europa, ma che vede nel dubbio anche potenze come la Cina.
Il decalogo delle cose da fare parte come sempre da una riduzione dei consumi e dalla ricerca di maggiore efficienza. Anche per l’energia vale il concetto che la produzione non può crescere all’infinito e così il suo consumo. Anche nell’ottica di avere risorse potenzialmente illimitate come sole e vento, senza un efficentamento dei consumi, la strada sarà verso la sostenibilità ambientale, e pure sociale, sempre assai impervia.
La logica è quella della generazione distribuita di energia; di edifici che producono e non consumano soltanto energia; di rigore nei consumi nelle grandi e piccole aziende fino all’accettazione di un diverso stile di vita meno energivoro in senso assoluto.
Ma veniamo a come viene esposto il problema negli ultimi interessanti convegni di cui abbiamo avuto notizia negli ultimi giorni. Secondo quanto emerso dal convegno "Ripartire con il fotovoltaico: prospettive tecnologiche, mercati e nuovi trend per la competitività del sistema Italia", organizzato da Areté Energia e Ises Italia presso la sede della Camera di Commercio di Milano, il nostro Paese, raccolta la difficile sfida posta dalle misure contenute nel Quarto Conto Energia, sta cercando di valorizzare le ricadute positive e di dare nuovo slancio al mondo imprenditoriale, a livello manifatturiero, realizzativo, gestionale e finanziario.
Al dibattito, moderato da Laura La Posta (Il Sole 24 Ore) e da Roberto Vigotti (Vice Presidente di Ises), si è cominciato proprio dalla riflessione su come il post Fukushima stia ridimensionando i rapporti tra le varie fonti rinnovabili e gli equilibri internazionali in termini di approvvigionamento energetico. «Il fatto che Paesi come la Germania e la Svizzera abbiano deciso di dare uno stop al nucleare – ha detto Vigotti – comporta una serie di conseguenze che non possiamo trascurare».
Per G.B. Zorzoli (Presidente di Ises ) «la competitività della generazione fotovoltaica dipenderà fortemente dai futuri trend dei prezzi del gas». Secondo gli studi citati da Zorzoli, in Europa le prospettive dei gas non convenzionali sono più modeste che negli Usa: le riserve recuperabili europee sono state rivalutate, ma difficilmente il cosiddetto shale gas diventerà un "game changer".
Per il futuro nel breve termine ci dobbiamo dunque aspettare l’effetto Fukushima, ovvero il rincaro del gas per aumento della domanda; ma nel medio-lungo termine, invece, peserà la crescita delle rinnovabili, in particolare del fotovoltaico, con conseguenti effetti di calo dei prezzi del gas e del chilowattora e competizione di mercato tra il gas e il fotovoltaico.
Conclusioni del tutto simili sullo shale gas sono arrivate in precedenza anche dall’altro importante convegno organizzato da Safe, presso la sede del Gse a Roma, che aveva un significativo titolo: "Dalla padella del nucleare alla brace del gas: cambiare tutto per non cambiare nulla. A che prezzo?"
Il workshop è stata infatti anche l’occasione per la presentazione, da parte del gruppo di lavoro Gas della dodicesima edizione del Master SAFE, dello studio "Shale Gas: un’opportunità anche per l’Europa ?"
Lo studio, partendo dalla constatazione che lo shale gas è destinato a rivoluzionare il mercato statunitense dei prossimi vent’anni ha tentato di dare una risposta alla possibile convenienza di uno sfruttamento di questa fonte anche in Europa. Le conclusioni dell’analisi sono state che la produzione di shale gas in Europa non sarà probabilmente, alle condizioni attuali, un game changer come negli Stati Uniti, pur potendo consentire un miglioramento della sicurezza degli approvvigionamenti.
L’importazione della tecnologia e la disponibilità dei servizi saranno un fattore determinante per l’abbattimento dei costi. Ad oggi infatti i prezzi del gas non riflettono i costi (molto variabili a seconda del paese produttore e della tipologia di trasporto). Ne consegue che l’abbassamento degli oneri produttivi o l’innalzamento dei prezzi del gas convenzionale saranno le due condizioni indispensabili affinché lo shale gas possa rappresentare un’alternativa davvero attraente.
Ricordiamo che solo pochi giorni fa il Sole24Ore informava che negli Stati Uniti: la Bhp Billiton è «sul banco degli imputati: un gruppo di agricoltori dell’Arkansas ha intentato una causa collettiva, sostenendo che il colosso minerario avrebbe inquinato il terreno e le acque dello Stato durante operazioni per estrarre shale gas (il gas da scisti argillosi). In particolare, i coltivatori accusano la divisione petrolifera della società, che ha sede a Houston (Texas), di arbitraria e sconsiderata negligenza verso la salute pubblica. Alcuni sostengono che il reinserimento di acqua salata nelle formazioni profonde di scisti argillosi – la discussa tecnica del "fracking" – avrebbe prodotto non solo inquinamento, ma anche una serie preoccupante di terremoti, culminato in un sisma dalla magnitudine di 4,7 gradi nella scala Richter il 4 marzo scorso».
Oggi tuttavia è direttamente l’amministratore delegato di Sorgenia, Massimo Orlandi, che proprio dalle colonne del Sole sostiene: «L’Italia punti sullo shale gas» e alla domanda sulle problematiche ambientali ha minimizzato: «In fondo la modalità di estrazione dello shale gas è l’unione di tecnologie già ampiamente utilizzate e consolidate».
A tutto gas non convenzionale, quindi, su questo al workshope del Safe si è ribadito spesso. Alla tavola rotonda, moderata da Michele Governatori, vice presidente Aiget, hanno partecipato Alberto Biancardi, Commissario dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, Fabio Leonicini, amministratore delegato Innowatio, Salvatore Pinto, presidente e amministratore Delegato EGL Italia, Elio Ruggeri, direttore infrastrutture Gas Edison, Davide Rubini, advisor TAP.
Secondo Alberto Biancardi «l’Italia vede nel gas la materia prima per antonomasia»; gli obiettivi per il futuro saranno far divenire il nostro paese un punto di transito privilegiato e proseguire velocemente sulla strada del mercato organizzato. In tal senso una rapida attuazione della riforma del bilanciamento è auspicabile nonostante le numerose richieste di proroga dell’avvio, previsto il primo luglio prossimo, da parte degli operatori. Sul recepimento del terzo pacchetto ha concluso Biancardi, sarebbe stata preferibile una separazione proprietaria della rete, tuttavia sarà importante lavorare affinché il modello ITO funzioni al meglio.
Fabio Leoncini ha concentrato il suo intervento sulla riforma degli stoccaggi giudicandola positivamente in termini di dinamicità che darà al mercato anche se sarà importante vigilare affinché il processo di liberalizzazione non si interrompa, sopraffatto dal ruolo dei players più importanti.
Il rischio di tornare ad un oligopolio è stato paventato anche da Salvatore Pinto. «Lo scenario attuale è quello di centrali che preferiscono star ferme per non perdere soldi" ha affermato Pinto, il quale ha anche aggiunto che la situazione potrebbe migliorare e l’Italia potrebbe divenire un hub del gas in presenza, però, di un quadro più stabile».
Delle rinnovabili non si è praticamente parlato, mentre è stato al centro dell’altro convegno del’Ises dove alla domanda: Ma dopo mesi di polemiche sugli incentivi, l’Italia può ripartire con il fotovoltaico? Ingmar Wilhelm (Enel Green Power – EPIA), ha risposto "assolutamente sì": «Oggi abbiamo un conto Energia chiaro e molto attraente. L’aver fissato 23.000 MW per il 2016 – ha aggiunto – fa pensare a una crescita continua che, con una tecnologia diventata concorrenziale, ci farà presumibilmente raggiungere i 30.000 MW nel 2020».
Ma è stata confermata anche quella che invece altri analisti smentiscono, ovvero l’esistenza di una filiera industriale del fotovoltaico italiana: per Vittorio Chiesa (Direttore Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano), c’è un volume di affari nel 2010 cresciuto di circa il 162% rispetto al 2009: sono circa 800 le imprese operanti lungo la filiera fotovoltaica e alla crescita della presenza (numerica) delle imprese italiane corrisponde una riduzione di quelle estere che fanno ricorso all’export puro. Questo trend è stato confermato dalla quota che resta in Italia della marginalità, passata dal 28% del 2008 al 42% del 2010. Sul piano della dinamica occupazionale, poi, si parla di un’occupazione totale diretta che ammonta a circa 18.500 dipendenti, cifra che sale a 45-55.000 se si considera anche l’indotto.
Per Carlo Andrea Bollino (AIEE), un cambio di passo netto verso le rinnovabili nel medio-lungo periodo si dimostrerà un vantaggio sia per il PIL che per la salvaguardia ambientale. «L’onere che dovrà essere sostenuto nei prossimi 10 anni – ha detto – è la metà di quello sostenuto dal Piano Marshall negli anni 50 e quindi del tutto sopportabile».
A chiudere la giornata è stato Roberto Vigotti che, riflettendo sulla miopia che ci stava conducendo verso approvvigionamenti energetici pericolosi e oltretutto economicamente sconvenienti, ha sottolineato l’importanza del ruolo giocato anche dai Paesi del Sud del Mediterraneo, ormai energicamente inglobati in una super grid mondiale. «L’approvvigionamento energetico da rinnovabili – ha detto – è il più naturale del mondo; finanziarlo nel posto giusto al momento giusto porta i suoi frutti. Chissà quale sarebbe stato l’epilogo senza il disastro di Fukushima».
Concludendo ci pare che come sempre sarà non solo il mercato a dettare legge, ma le scelte dei governi. A questi possiamo fare appello affinché si colgano le migliori opportunità offerte dal mercato, ma governando il cambiamento necessario per una svolta nella pianificazione della produzione energetica dove sia chiaro che il criterio direttore delle scelte è quello della sostenibilità.