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Amiata, storia di un vulcano

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Il massiccio ospita un cratere spento ma ancora ricco di energia

Fonte: La Nazione – Umbria

Autore: La Nazione – Umbria

IL MASSICCIO dell’Amiata, la cui vetta è di 1738 metri, domina un panorama mozzafiato, dal Gransasso al Terminillo, ai Monti Sibillini, al Monte Cimone in Emilia, all’Arcipelago Toscano fino al lago Trasimeno, è un vulcano spento, attivo fino a 190.000 anni fa, ma ancora ricco di vita e di energia; l’acqua e il sole, rendono smagliante la sua natura e misterioso l’ambiente. Sono le emissioni di gas delle riserve geotermiche che indicano come nelle viscere del vulcano continui una vita inanimata, ma produttiva.
COME ESPLORATORI immaginari, con speciali capacità visive, nel buio delle viscere del vulcano, potremmo trovare minerali di vari colori, tra cui masse cristalline di cinabro scarlatto o violaceo, che tanto hanno determinato la storia di molti paesi dell’Amiata. Questo minerale (solfuro di mercurio) si è formato in superficie per un sistema di faglie complesse e frantumate; il calore ha permesso la circolazione di fluidi idrotermali che a contatto con le rocce si sono arricchiti di mercurio e risalendo e raffreddandosi hanno formato giacimenti metalliferi, soprattutto di cinabro, da cui, con sistemi di distillazione e arrostimento, in appositi forni, si ricava il mercurio, metallo liquido. Lo sfruttamento del cinabro praticato dall’antichità, diventò nel 1899, con la miniera di Abbadia S. Salvatore, fonte di benessere per tutta la zona dell’Amiata. Dopo la guerra, solida era la posizione finanziaria della miniera, che aveva il monopolio del mercato mondiale prima appartenente alla Spagna. Superata la crisi del 1929, l’attività della miniera proseguì anche durante la Seconda Guerra Mondiale, diventando sempre più moderna e florida nel 1946, con trentamila bombole di mercurio prodotte e circa mille lavoratori impiegati. Negli anni ’60 continuò l’attività, con l’impianto di forni Gould, più sicura e produttiva. Si raggiungevano anche le 200 tonnellate di mercurio al giorno. Negli anni ’70, però, esplose la crisi mondiale del mercurio: il mercurio impiegato nell’industria degli antiparassitari e in tutto il settore chimico ed elettrico risultò inquinante. Nelle nazioni industrialmente progredite furono emanate leggi restrittive, si cercarono prodotti alternativi, i paesi più poveri con norme meno rigide e prezzi più bassi furono i nuovi produttori di mercurio. Nel 1976 la miniera di Abbadia San Salvatore cessò la sua attività: fu un duro colpo per l’economia dell’Amiata, ma dal vulcano, gigante sempre vigile, vennero nuove possibilità di benessere. L’Enel Green Power ha avviato da tempo ricerche nella Toscana meridionale, dovesono state localizzati due dei principali campi geotermici del mondo: Monte Amiata e Lardarello-Travale.

La centrale geotermica dell’Enel
IL VULCANO ha offerto ancora, oltre alla miniera, altre risorse e nuove possibilità di sviluppo: le centrali geotermiche di Piancastagnaio, sorte negli anni ’90, dopo accurate ricerche geologiche del territorio, hanno riportato lavoro e benessere (circa 40 sono gli addetti alla manutenzione delle centrali). Il gruppo Green Power – Enel, già dagli anni ’60 si è impegnato a creare energia non inquinante da fonti rinnovabili: nella zona dell’Amiata la geotermia è stata la protagonista di questo progetto. Il vapore termico si trova a metà della crosta terrestre, che varia da Km 25 a 70, ma in Toscana è di km 10 e in alcune zone di 5-6 km. Siamo quindi vicini al mantello superiore, uno degli strati del cuore della Terra, sempre più fluido, caldo, pastoso e radioattivo. Il calore del centro della terra, di 5100° C, sale e si raccoglie in sacche, spinto anche dai movimenti tellurici che hanno avvicinato la lava alla crosta terrestre amiatina, sottile e duttile.
La zona di Piancastagnaio, pertanto, gode di un calore superiore, dato non da una caldaia che brucia petrolio, ma da una fonte naturale non inquinante. In profondità, poi, ci sono acque fossili, risalenti a 200 milioni di anni fa, che per la conformazione della terra arrivano fino alla zona di Piancastagnaio. Tali acque vengono trasformate in vapore a 205-210° C tramite il calore della terra, invece che per combustione chimica come in altre centrali.