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Agricoltura, Toscana: Presente e futuro dello sviluppo rurale, visti dalla III Conferenza Regionale dell’Agricoltura

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A 11 anni dall’ultima edizione, una panoramica sui cambiamenti avvenuti e sulla programmazione europea di settore

Fonte: Rinnovabili&Territorio

Autore: Redazione

I lavori della III Conferenza Regionale dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale, tenutisi a Lucca presso il Real Collegio, hanno rappresentato una preziosa occasione per analizzare lo stato di salute del settore primario in Toscana e per indagarne le principali direttrici di sviluppo, a 11 anni dall’ultima edizione della conferenza, tenutasi nel 2006.

Anni di crisi, ma anche di successiva ripresa. Il dirigente IRPET, Simone Bertini, ha evidenziato che «dopo la fase più difficile, tra il 2010 e il 2012 nell’ultimo triennio si  nota un ritrovato dinamismo da diversi punti di vista: esportazioni, occupazione, valore della produzione, razionalizzazione dei costi all’ interno delle imprese». Aziende che dal 2006 al 2016 sono passate da circa 80.000 a 70.000 (cui vanno aggiunte le 5.200 imprese agro-industriali), con al contempo la dimensione media aziendale in aumento (passata da 9 a 10,5 ettari). Nel confronto con la Toscana del 2006  l’agricoltura e l’agroalimentare toscano hanno mantenuto pressoché inalterato il livello di del valore aggiunto, complessivamente pari nel 2016 a 3,2 miliardi di euro (per il 70% da attribuire alla parte strettamente agricola). Per quanto riguarda invece il numero di occupati, nell’agricoltura toscana se ne contano oggi 51mila, un numero in costante crescita dal 2012 anche se caratterizzato da un’elevata età media: oltre la metà degli agricoltori ha più di 60 anni, mentre i giovani sotto ai 40 anni ammontano a meno del 10% del totale, anche se si stima che le aziende condotte dai giovani abbiano una produttività maggiore rispetto alle altre di circa il 7%.

In ogni caso, il tratto distintivo del settore primario toscano rimane quello della qualità. «I settori di eccellenza della nostra agricoltura, penso alla viticoltura, con i loro exploit anche in tempi di crisi hanno consentito all’intero settore di tenere. È questa –ha dichiarato l’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi– la strada da seguire: ci sono spazi significativi per altre filiere (penso a quella dell’olio), ci sono prospettive di rilancio per settori decisivi (come il vivaismo) e ci sono potenzialità anche per altre produzioni a patto che consolidino il nesso vincente con la nostra terra».

La Toscana con le sue 89 fra produzioni DOP e IGP, insieme alle quasi 900 varietà vegetali e animali autoctone censite, ha difatti nell’alta qualità e nel legame col territorio il valore aggiunto da spendere sui mercati.

Importante volano per finanziare e indirizzare di tale valore aggiunto è costituito dal Programma di Sviluppo Rurale (PSR), principale strumento di finanziamento delle politiche agricole regionali, alimentato dall’UE per il 43,12% e per la restante parte cofinanziato dalla Regione e dallo Stato: ad oggi, ovvero a distanza di meno di due anni dall’avvio della programmazione 2014-2020 del Programma di Sviluppo Rurale, sono stati già stanziati due terzi della dotazione finanziaria prevista per i sette anni (624 milioni di euro su 962). «La Toscana –ha concluso Remaschi– chiede all’Europa di confermare le risorse per agricoltura e sviluppo rurale con la prossima programmazione della PAC (Politica Agricola Comunitaria, ndr),  e sostenere così le grandi sfide che ci attendono: le sfide complessive del cambiamento climatico e della globalizzazione dei mercati, quelle legate al ricambio generazionale, all’innovazione, alla tutela della qualità e della sostenibilità dei prodotti. Per la nuova PAC sarà poi per noi essenziale poter discutere, affinché venga superato il solo criterio della SAU (Superficie Agricola Utilizzata, ndr) nella ripartizione delle risorse fra gli Stati membri  introducendo nuovi indicatori e nuovi criteri capaci di qualificare un’agricoltura come la nostra che si sviluppa in larga parte su terreni montani (25%), e collinari (67%) e solo per l’8% in pianura e che quindi affronta difficoltà certamente maggiori».