Home Cosvig Acqua nei vulcani attivi per generare risorse geotermiche

Acqua nei vulcani attivi per generare risorse geotermiche

582
0
CONDIVIDI
Chi non ha sorgenti geotermiche naturali attiva ricerche per procurarsele

Fonte: GeotermiaNews

Autore: Redazione

Accade negli Stati Uniti, che non sono nemmeno poveri di risorse geotermiche naturali ma poiché non sono diffuse ovunque, laddove non ci sono, si cercano le soluzioni per sfruttare il calore dei vulcani da trasformare in geotermia.

E’ quanto stanno studiando in Oregon, dove il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, affiancato da investitori privati fra cui anche Google con 6,3 milioni di dollari, ha investito finora 21,5 milioni di dollari in un progetto per utilizzare la forza e il calore dei vulcani.

Si tratta di un progetto pilota che dovrebbe partire nei prossimi mesi (si parla dell’estate) in un vulcano attivo dell’Oregon, il Newberry, dove si pensa di pompare una quantità enorme di acqua lungo le pendici incandescenti del cratere per generare vapore e calore ad alta pressione da trasformare in energia elettrica.

Il progetto prevede di fratturare il vulcano in vari punti così da creare crateri tramite i quali pompare acqua in profondità.

Dentro il cratere del vulcano si verrebbero così a formare una vastissima rete di crepe entro cui l’acqua stessa potrà scaldarsi.

Il rischio di innescare terremoti sarebbe molto basso, almeno a quanto sostengono i promotori del progetto, che ritengono che la caldera del vulcano si adagi su un corpo magmatico tra i due e i cinque chilometri di profondità.

Resta il fatto che, già adesso, il vulcano viene definito geologicamente e simicamente attivo nel sito del parco naturale di cui fa parte.

Il Newberry National Volcanic Monument è, infatti, un parco creato nel novembre del 1990, entro i confini della Deschutes National Forest. Il Newberry National Volcanic Monument comprende 50.000 ettari di laghi, colate di lava e spettacolari manifestazioni geologiche.

Il punto più alto all’interno dell’area è il Paulina Peak a 7985 metri, che si affaccia sul Cascades Oregon e su tutta la High Desert.

«Sappiamo che il calore è lì- ha detto Susan Petty, presidente dell’AltaRock Energy, che è una delle aziende coinvolte nel progetto. – Il grande problema è capire se può circolare abbastanza acqua attraverso il sistema per renderlo economico».
L’AltaRock Energy, ha anche prodotto un video presente sul sito aziendale che spiega in cosa consiste il progetto che è una rivisitazione della tecnica EGS (Enhanced geothermal systems) utilizzata per ricavare energia geotermica dai "punti caldi" della crosta terrestre attraverso la fratturazione delle rocce.

«Produrre energia geotermica in grande stile, al di là di dove è, richiede una nuova tecnologia, ed è qui che entra in campo l’EGS» ha dichiarato Steve Hickman, un geofisico del gruppo di ricerca dell’US Geological Survey di Menlo Park, California.

La tecnica che si vuole sperimentare è il processo noto come hydroshearing, simile al processo di fratturazione idraulica, utilizzata per liberare il gas naturale da formazioni di scisto.

In questo caso verrebbero create piccole fratture in profondità, pompando acqua fredda in pozzi creati nella roccia e, il vapore che si viene a generare sarebbe poi estratto per produrre energia elettrica.

L’intero processo è spiegato nel video che illustra il progetto in cui i responsabili partono dalla necessità di sviluppare la tecnologia per sfruttare l’energia geotermica anche laddove questa non sia disponibile naturalmente.

In pratica nel cratere del vulcano Newberry, attualmente inattivo ma non spento, è già stato trivellato un pozzo profondo circa 3.700 metri.

All’interno di questo pozzo, prevedibilmente la prossima estate, verranno pompati 90.000 metri cubi d’acqua che apriranno spaccature e crepe nel sottosuolo.

Per tre volte all’acqua verrà aggiunta una sorta di materiale plastico biodegradabile, così da permettere che le fratture già aperte si sigillino temporaneamente e se ne producano di nuove.

L’idea è quella di creare una specie di ragnatela tridimensionale sotterranea piena d’acqua che si estenderà per circa un chilometro e fra i 1800 e i 3.300 metri di profondità.

A questo punto verranno trivellati altri due pozzi, più o meno paralleli al primo, dai quali l’acqua riscaldata uscirà sotto forma di vapore.

Il vapore così ottenuto verrebbe sfruttato per azionare una turbina e produrre, quindi, energia elettrica: passaggio ancora molto ipotetico dato che si tratta al momento di un “progetto dimostrativo” che verrà a costare la “modica cifra” di 43 milioni di dollari.

Oltre al timore che la rottura delle rocce in profondità nel sottosuolo, attraverso l’hydroshearing, possa indurre la formazione di terremoti, c’è poi anche un altro problema che accompagna questa tecnologia, che consiste nel fatto che è difficile creare un serbatoio abbastanza grande per eseguire un impianto di potenza commerciale.

I progressi – almeno sino ad ora – sono stati lenti e come nel caso del progetto avviato a Basilea è stato necessario fermarlo proprio perché il rischio terremoto era, più che evidente, conclamato.