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Quella lampadina accesa dall’acqua di mare

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Energia pulita, progetto pilota di un pool della facoltà di Ingegneria

Fonte: La Repubblica – Palermo

Autore: CRISTOFORO SPINELLA

LA PRIMA lampadina alimentata dall’acqua salata l’hanno accesa qualche giorno fa a Palermo. L’illusione di una nuova fonte di energia pulita, prodotta dalla miscelazione controllata delle acque, in Sicilia è già realtà. Da ieri, il prototipo più potente mai realizzato è atterrato alle saline Ettore e Infersa di Marsala, dove nei prossimi sei mesi arriverà a produrre 1 chilowatt di energia elettrica mischiando acque salmastre e salamoie. A sviluppare questa nuova fonte rinnovabile è stata un’équipe di otto ingegneri chimici guidata da Giorgio Micale, associato all’Università di Palermo e responsabile scientifico del progetto di ricerca REAPower, che ha coinvolto gli atenei di mezza Europa.
Il meccanismo è semplice: mescolare acque con diverso grado di salinità in modo da produrre energia elettrica. Un processo teorizzato già negli anni Cinquanta per cui finora mancavano gli strumenti necessari. Tecnicamente, si chiama elettrodialisi inversa: a differenza dell’energia prodotta dalle centrali idroelettriche, si trasforma l’energia chimica legata alla concentrazione del sale nell’acqua in energia elettrica da “gradienti salini”. Un meccanismo già sviluppato in Olanda mescolando l’acqua dolce dei fiumi con quella salata del mare.
Ma la squadra dell’Università di Palermo, per la prima volta in Europa, ha fatto di più, mettendo insieme due acque salate a diversi livelli: quella del mare e quella delle saline. Perché più alta è la concentrazione di sale, maggiore è l’energia che si riesce a produrre. «Fino a dieci volte di più», spiega Micale.
Per l’Isola, uno straordinario potenziale grazie ai siti naturali, come le saline di Trapani e Marsala, e agli impianti artificiali di dissalazione di Trapani, Gela, Agrigento e delle isole minori come Pantelleria, Ustica e le Eolie. Questa tecnologia permette infatti di recuperare l’acqua salata prodotta dai dissalatori dopo la separazione da quella dolce, che oggi viene rigettata in mare.
Nato all’interno di un programma di ricerca finanziato dall’Unione Europea con quasi quattro milioni di euro, il progetto è partito nel 2010 grazie a un partenariato tra gli Atenei di Palermo e della Calabria con quello di Manchester e centri di ricerca di eccellenza in Belgio e Olanda. Uno studio in cui ha investito anche la multinazionale giapponese Fujifilm. «Era una ricerca ad alto rischio, perché agiva su un campo innovativo, ma anche ad alto potenziale di sviluppo — spiega Micale — Abbiamo trovato una fonte di energia rinnovabile non convenzionale e non discontinua, a differenza del solare e dell’eolico che sono legati alle condizioni meteo». Le risorse per svilupparla, adesso, non manca no. In ballo c’è il programma Ue Horizon 2020, che per la ricerca scientifica metterà a disposizione 80 miliardi di euro nei prossimi sette anni, ma anche l’interesse di alcune multinazionali. «Per la piena applicazione industriale, potrebbe bastare un decennio — prevede Micale — Per la Sicilia sarà una grande opportunità».