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Un patrimonio sotto i piedi

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Il calore della terra: Italia al quinto posto per sfruttamento dell’energia geotermica

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Elena Comelli

Ci chiamano il Paese del sole, ma in realtà la risorsa naturale più specifica dell’Italia è il calore della terra. Più che il sole, di cui il Sahara è il principale beneficiario, il nostro petrolio rinnovabile sono i fluidi caldi, che salgono in superficie dalle viscere del pianeta, lungo tutta la costa tirrenica. Nella capacità di sfruttarli, infatti, siamo campioni mondiali e con buone prospettive di crescita.
Il settore geotermico italiano, ormai vecchio di quasi due secoli, nei prossimi anni potrebbe passare da meno di un gigawatt installato ad almeno due, secondo il parere degli esperti. La grande speranza sta nello sviluppo di una nuova tecnologia, i cosiddetti sistemi binari, che possono sfruttare anche fluidi meno caldi di quelli utilizzati fino ad oggi, usando liquidi che bollono a temperature più basse dell’acqua in uno dei due circuiti. I rendimenti sono minori, ma le possibilità di sfruttamento del calore sotterraneo aumentano in maniera esponenziale. Molto dipenderà, però, dall’accoglienza riservata alla nuova tecnologia dalle popolazioni locali.
Il leader mondiale di questi impianti è Enel Green Power, che ne ha già costruito uno in Nevada. Stillwater, a cento chilometri da Reno, è la prima centrale ibrida solare-geotermica del mondo e associa ai 33 megawatt geotermici anche un impianto fotovoltaico di 26 megawatt. Gli Usa, con oltre 3 gigawatt installati, sono il Paese che sta sfruttando di più le sue risorse geotermiche, seguito da Filippine, Indonesia e Messico. L’Italia figura quinta in questa graduatoria. Non a caso, la società guidata da Francesco Starace sta realizzando un altro impianto binario nello Utah, ma in Italia non ci ha ancora provato, anche se l’intenzione ci sarebbe. «Potremmo certo applicarli largamente anche in Italia, sia su fluidi meno caldi di quelli usati oggi, che per potenziare le centrali attuali», dichiarò Starace qualche mese fa in un’intervista a QualEnergia e assicurò: «Proveremo un impianto binario presso una centrale geotermica in Toscana, ma non aspettatevi enormi e rapidi incrementi, tipo quelli del fotovoltaico».
Nel nostro Paese le risorse geotermiche sono studiate da oltre un secolo. Centri di ricerca sono presenti all’Università di Pisa e alla Scuola Superiore Sant’Anna. Esistono poi studi importanti come l’Atlante Geotermico e il progetto Vigor, coordinati da Adele Manzella del Cnr. La geotermia toscana, ad oggi, è l’unica sfruttata su vasta scala, in quanto i fluidi geotermici che escono di là non hanno il carico di gas tossici presenti in quelli dei Castelli Romani o dei Campi Flegrei. Ma gli esperti non escludono nuovi sviluppi. In teoria, secondo Manzella, le risorse geotermiche italiane «sarebbero sufficienti per soddisfare l’intero fabbisogno energetico nazionale». Tutto dipende «dagli investimenti che si faranno nella ricerca e nelle nuove tecniche». Più realisticamente, «con le attuali tecnologie nei prossimi anni si potrà raddoppiare l’attuale produzione, ma con tecnologie nuove sarà possibile decuplicarla».
I progetti pilota di centrali geotermiche innovative, per ora, sono una dozzina, sparsi fra Toscana, Lazio, Umbria Campania, Sicilia e Sardegna. Chi si aspettava un’esplosione di iniziative dalla liberalizzazione del settore, avvenuta nel 2010, è rimasto deluso: anche se Enel non ha più il monopolio, per ora si è mosso poco. Le ragioni sono semplici: la richiesta dei permessi di ricerca può costare da sola anche 50mila euro. Per la ricerca, poi, si devono metter in conto investimenti fino a 1 milione di euro per chilometro quadrato. E anche se si trova qualcosa, si scopre quanto fluido geotermico ci sia solo scavando pozzi profondi fino a 3-4 chilometri, al costo di 1.000 euro al metro. Con il rischio di non trovare una vena sfruttabile, perdendo tutto il lavoro. Per di più, si viene spesso accolti dai comitati "no trivelle", come succede in questi giorni al progetto pilota di Montenero, sulle pendici del Monte Amiata, che sta già suscitando forti resistenze nella popolazione locale, prima ancora di avere ottenuto tutte le autorizzazioni.
La Regione Toscana, invece, sta cercando si spingere lo sfruttamento di questa risorsa, che soddisfa circa un quarto della domanda elettrica regionale. E anche il CoSviG, il consorzio per lo sviluppo delle aree geotermiche, che associa 21 enti locali toscani, fra cui la quasi totalità dei Comuni dell’area geotermica, sta facendo del suo meglio per partecipare alla corsa post-liberalizzazione. Il consorzio si è associato con GeoEnergy, un’impresa di provata esperienza nel settore, che ha già avviato due diverse istanze di ricerca per progetti pilota, una a Montecatini Val di Cecina e l’altra a Radicondoli. La partita è aperta, ancora tutta da giocare.