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LE NUOVE SFIDE: ONDE E VENTI DI ALTA QUOTA

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Fino al 1970 eravamo a zero, adesso pale eoliche e pannelli solari sono realtà ma molto presto sfrutteremo l’energia del mare e le correnti dell’atmosfera

Fonte: Il Tirreno

Autore: MAURO ZUCCHELLI

Fino al 1970 le fonti di energia rinnovabili – come i pannelli solari, le pale eoliche e altro ancora – erano come un Ufo: non c’erano, erano zero. E non in senso metaforico: proprio zero, niente. E anche lo shock petrolifero di qualche anno più tardi servirà tutt’al più a passare da qualche microfrazione di punto percentuale fino all’uno per cento. Dove rimarrà per quasi un quarto di secolo: mentre, per dirne una, in Francia già più di quarant’anni fa era sopra il 6%. Un boom recente. C’è da dire però che negli ultimi 15 anni lo sviluppo è stato rilevante: basti pensare che a malapena nel ’97 siamo arrivati all’1,04%, solo nel 2004 superiamo la soglia del 2% e negli ultimi tre anni fotografati, dal 2008 in poi, si è registrato quasi il raddoppio con un’impennata da record. Tutto merito degli incentivi? In parte sì, può darsi che il sistema sia stato “drogato” dai soldi messi in circolo per favorire la crescita di tali risorse. Sta di fatto che nel 2008, per la prima volta dopo quasi mezzo secolo, torna sotto il 90% la quota di consumi energetici che derivano da energia fossile, cioè carbone, petrolio e gas naturale. Ancora poca cosa rispetto alla velocità con cui si sono diffusi smartphone, computer e Facebook. Ma in realtà è un cambiamento da non sottovalutare. Realtà in crescita. Questo vuol dire però che ormai le fonti rinnovabili sono qualcosa che fa parte delle opzioni industriali tradizionali: non fa più notizia la scuola che passa a pannelli solari o l’allevamento che si affida all’eolico, anche se c’è ancora molta strada da fare per raggiungere la Germania, dove quasi il 22% del fabbisogno di energia viene soddisfatto con fonti non fossili, o la Spagna, dove questa quota arriva al 23% o la Francia dove vola oltre il 50%. È a tal punto “normale” l’impianto eolico o il parco fotovoltaico che ormai non hanno più lo scudo protettivo di simbolo di energia pulita: anch’essi sono talvolta finiti nel mirino della contestazione perché un campo di pale eoliche può essere poco adatto in un certo tipo di paesaggio da tutelare così come può esserlo una distesa di pannelli solari. Resta peraltro incomprensibile come mai questo tipo di soluzioni vengano di rado testate in ambienti, come le dighe foranee di un porto (per l’eolico) o i tetti di capannoni di un polo industriale, dove l’impatto sarebbe assai meno problematico e più “digeribile” per l’evidente utilità a servizio dell’attività produttiva lì accanto. Onde e aquiloni. C’è però, ancora più in là, una “nuova frontiera”. Anzi, una doppia nuova frontiera. Ha a che fare con due ambiti assai meno regolati di quanto siano gli spazi rurali che comunque devono rispondere a quel che prevede un piano regolatore ettaro per ettaro. Il riferimento è all’aria e all’acqua: nel primo caso, stiamo parlando dell’energia producibile dai profili alari ad alta quota; nel secondo, di quel che si può ricavare dal moto delle onde. Il profilo alare è una sorta di aquilone che sfrutta una fascia di alta ventosità individuata nell’atmosfera a un’altezza che alle nostre latitudini va da circa mille metri a poco più di dieci volte tanto: ma la porzione più bassa quella che un industriale-inventore italiano ha immaginato di utilizzare concretamente. Con un’idea guida: mentre le pale eoliche devono essere collocate in siti per i quali si studia la probabilità di vento (con una soglia di accettabilità se le ore ventose sono poco più del 20%), quest’aquilone cattura-energia può contare su una maggior utilizzabilità anche perché ad alta quota l’arco orario ventoso copre in media circa l’80% dell’annata. L’altra direttrice di sviluppo dell’eolico è meno suggestiva ma assai pratica: assomiglia a quel che è accaduto con il fotovoltaico con la possibilità di spezzettarne l’installazione a livello domestico. Ecco che al posto della grande pala alta 60 metri, una nuova generazione di ingegneri è alle prese con il micro-eolico a misura di famiglia, di fattoria, di piccola impresa. In futuro in arrivo. In fatto di onde, invece, impatto visivo per l’apparecchiatura con cui uno scienziato-imprenditore pisano punta a dare energia elettrica a 200 famiglie all’isola d’Elba. È un congegno meccanico che sta sott’acqua e cattura l’energia del moto ondoso. Sempre nel segno delle onde anche il progetto-pilota che il laboratorio Sees-PerCro della Scuola superiore Sant’Anna ha messo a punto con partner di mezza Europa fra centri di ricerca, poli universitari e aziende private. In questo caso, le onde hanno il compito di entrare in una cassa di espansione, magari all’interno di una diga foranea, e tendere in modo più o meno forte una superficie di elastomeri elettroattivi, e lo sforzo per allontanare o avvicinare le cariche sulle superfici generano energia convertibile elettricamente. Un vantaggio? Semmai ce ne sono tre: 1) i polimeri sono un materiale a basso costo e senza problemi ambientali; 2) diversamente da progetti di tipo meccanico, non esistono problemi di aggressione o corrosione da parte del salmastro o della ruggine; 3) non ci sono problemi di compatibilità acustica perché l’impianto è silenzioso.