Le famiglie Rossi e Braun(nomi di fantasia), che vivono rispettivamente in una campagna italiana e in una città tedesca, hanno la passione delle energie rinnovabili e pure il denaro che occorre per soddisfarla, grazie a contributi e agevolazioni pubbliche. Il loro parco solare è servito. Pannelli fotovoltaici (per i seguenti usi elettrici: illuminazione, elettrodomestici a iosa, aria condizionata, impianto a osmosi inversa perché non si fidano dell’acqua del rubinetto, pompa per tirar su l’acqua dal pozzo d’irrigazione, forno elettrico per megapizze). Solare termico (per produrre acqua calda e per il riscaldamento). Perfino un piccolo generatore eolico. Ma hanno anche a disposizione le energie fossili: il distributore di benzina, l’elettricità di rete, il metano (per gli usi di cucina e la caldaia a concentrazione). Hanno comprato un bel forno solare a parabola che non usano mai, e perfino un trattorino fotovoltaico per piccoli trasporti in campagna nonché, Ça va sans dire, la bicicletta elettrica. L’energia umana? La usano solo in palestra.
Le famiglie Konaré e Gonzales [nomi di fantasia), che vivono rispettivamente in una bidonville lei Niger e sulle montagne delle onde, non hanno accesso né alle energie alternative né a quelle fossili. Come almeno due miliardi di abitanti del pianeta, il loro presente è simile al passato dell’Occidente: più buio, più lento (l’unico lato positivo), senza rimedi contro caldo (o il freddo), e più faticoso. Lampade a kerosene, candele legna da ardere sono le uniche -comode costose inquinanti – fonti, oltre all’energia umana e animale. Già: tocca camminare a lungo per caricarsi di legna da ardere acqua, macinare farine senza motori, portare pesi in spalla, lavorare in campagna senza macchinari, godere al massimo di la bici. Un grande aiuto viene irto dagli asinelli, eterni compari di fatiche e privazioni. Va detto anche che queste famiglie subiscono gli effetti del caos climatico provocato dai paesi dei Brambilla e dei Braun che ricorrono ancora sito a fonti fossili, responsabili delle emissioni di gas serra. Il sole abbonda soprattutto nei laghi più poveri del mondo, ma suo utilizzo a scopi energetici re essere ancora un privilegio gli abbienti. La tecnologia costa. Anche se meno di quel che sembra.
Nel 2001, Greenpeace presentò il piano internazionale Power to Me poverty mirato proprio ai dardi di persone che vivono senza accesso ai servizi energetici di base. La strada è lunga. Alcuni cessi la stanno illuminando. Nel recente documentario Bring the Sun Home una bella famigliola andina sullo sfondo di uno spelacchiato scenario del Perù siede composta davanti alla telecamera. Il papà con un largo sorriso spiega che la mamma si occupa ora di installazione e manutenzione di pannelli fotovoltaici sulle cas(upol)e dell’altipiano, con alcune colleghe. Sono "ingegneri senza laurea né diploma". Il miracolo è avvenuto dopo sei mesi di formazione nella lontanissima Tiloma, stato del Rajasthan, India. O lavora, dai primi anni 1970, il Barefoot College (College a piedi scalzi: www.barefootcollege.org), che con tecniche pedagogiche stupefacenti ha già formato alla tecnologia solare settecento donne di comunità povere di decine di paesi. Dall’India al Cile, dal Sudan all’Afghanistan – e non è stato facile convincere i mariti, e le donne stesse. Ma poi, un grande entusiasmo. Si è aperto un mondo.
Meglio ancora se le "mamme solari" sono nonne, analfabete no problem. Spiega Bunker Roy, magico fondatore del College: "Una volta diventate tecnici solari, le donne a differenza degli uomini non scappano in città ma tornano nei loro villaggi". Là creano piccole cooperative e portano la luce, letteralmente, e perfino, magari, l’energia per un piccolo ventilatore.
A Tilonia e nei villaggi intorno, il Barefoot College sperimenta in molti modi l’accesso dei poveri alle tecnologie pulite, per coprire i bisogni di base. Così oltre alle lanterne solari che illuminano fra l’altro lo studio dei bambini, ecco i piccoli impianti solari a osmosi inversa per desalinizzare e purificare l’acqua necessaria a mille abitanti, 40 litri a testa al giorno a modico prezzo.
Fratello Sole aiuta sorella Acqua anche nei progetti di sostegno a comunità locali finanziati dalla Rete Comuni solidali (capace di riunire 260 enti locali per un totale di oltre quattro milioni di italiani…anche se magari non lo sanno). Un esempio? I quattro orti nella periferia di Niamey (Niger) che grazie al pompaggio solare dell’acqua necessaria, permettono a oltre duecento donne di coltivare e vendere e a duemila persone di mangiare meglio.
Il sole illumina, scalda, cuoce! Così, da tempo la Solar Cookers International (www.solarcookers. org), una rete intemazional-locale di praticanti e seminventori volontari, donne e uomini, sulla neve come nei deserti, si ingegna a trovare i modelli di cucine solari più adatti alle peculiarità dei luoghi delle persone (http://www. youtube .com / watch?v=D619r8 FiRDs). L’obiettivo è cuocere ogni tipo di cibo con il sole, con i forni a parabola (più costosi) o quelli a scatola e perfino con i cookit, praticamente dei cartoni pieghevoli foderati di aUummio e corredati di alcune accortezze. Autocostruibili (v. sul manuale Io lo so fare, Al-treconomia 2009, 2011, 2013).
Per gli individui e le comunità "abbienti" può sembrare un bello sfizio da giardino, anche se a zero emissioni. Ma nei luoghi difficili, cucinare con il sole può evitare a decine di milioni di donne e bambini la fatica della raccolta della legna da ardere e l’affumicamento presso i focolari; e preservare l’ambiente, che l’affanno del cucinare contribuisce a spelacchiare. Quelli di Solar Cookers si chiedono come mai, benché i cookit migliorati possano essere una soluzione ultraeconomica, salvambiente, salvafatica, adatta perfino a luoghi estremi come i campi degli sfollati di guerra in Africa (sono usati ad esempio a Kakuma in Kenya), le grandi agenzie dell’Onu e i vari "donatori" non adottino questa semplice tecnologia solare.
Ma forse, l’universalizzazione delle cucine solari è un progetto più adatto all’Alba, ovvero l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, ideata da Fidel Castro e Hugo Chàvez e alla quale partecipano ora anche, oltre a Cuba e Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e alcune piccole repubbliche caraibiche. Nel quadro dell’Alba e della solidarietà Sud-Sud, con l’expertise di Cuba sono stati elettrificati centri medici e scuole rurali in Bolivia, Mali, Lesotho. Il potenziale è enorme, con la prevista "internazionalizzazione delle missioni sociali" venezuelane. Fra queste la Misión Revolución Energética, avviata nel 2006, con al centro il risparmio e le tecnologie pulite.
Cuba, che secondo l’organizzazione Cubasolar potrebbe diventare solare al 100%, è ben vocata a fare da consulente, anche nel campo dell’eolico (in materia ha ospitato giorni fa una conferenza intemazionale). Del resto, magari obtorto collo, l’isola è il primo paese che sperimenta una transizione a un’economia post-petrolifera (vedere il documentario – con sottotitoli in italiano – The Power of Community. How Cuba Survi-vedPeakOit).
Anche i paesi subsahariani, attraverso il Cilss, coordinamento di lotta contro la siccità in Sahel, dichiarano di voler puntare alla diffusione delle energie "domestiche e alternative". Fra queste i cugini delle cucine solari: gli essiccatori solari – per farli bastano piccoli laboratori artigiani – che permettono di conservare per molti mesi frutta e ortaggi senza quasi perdite del valore nutritivo e a costi ed emissioni zero. Fu Thomas Sankara, rivoluzionario presidente del Buriana Faso fra il 1983 e il 1987, a dare impulso anche agli essiccatori, in quei villaggi saheliani ricchi quasi solo di raggi solari.
In Asia: se la Cina da tempo punta sul solare (e i suoi pannelli fotovoltaici invadono il mondo), l’India ha avviato nel 2010 la lawaharlal Nehru National Solar Mission, con l’ambizione di diventare leader mondiale del settore, assicurare la sicurezza energetica, contribuire alla lotta per il clima, ridurre i costi e arrivare anche nelle case di quei 500 milioni di persone e 20.000 villaggi remoti, oggi .scollegati.
Il presente dell’energia è ancora all’insegna del privilegio. Ma meno spreco di energie da parte degli abbienti, più accesso ai bisogni energetici di base per gli impoveriti, e più energie pulite per tutti, il cammino può convergere.