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Energia, l’efficienza salva l’Italia

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Dati I-Com. In coda, davanti solo alla Spagna, per spesa in innovazione e ricerca

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Federico Rendina

Italia destinata a rimanere fanalino di coda nella ricerca sulle nuove tecnologie dell’energia? A guardare il confronto con gli altri paesi sembrerebbe di sì. In Europa facciamo meglio, o meno peggio, solo della Spagna, avverte l’I-Com, l’Istituto per la competitività, nel suo rapporto annuale sull’innovazione energetica che sarà presentato oggi a Roma. È l’ennesimo segnale di allarme per il nostro sistema economico e industriale. Ma la riscossa non è impossibile, ci dice sempre l’I-Com.
Come spesa globale e numero di brevetti siamo fanalino di coda in Europa. Ma non ce la caviamo affatto male, anzi siamo in testa alla classifica, nell’area forse più promettente del nostro futuro energetico: le soluzioni e i prodotti per l’incremento dell’efficienza. Creatività e genio italiano fanno la loro parte, almeno qui. Ma manca – questo il messaggio di rilievo che viene dall’indagine I-Com – la capacità di "fare sistema", di attivare quelle politiche di coordinamento e promozione della ricerca nel settore cruciale dell’energia.
Sta di fatto che due anni fa nel mondo si sono investiti 88 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nel settore, con un ritocco al rialzo rispetto all’anno precedente. L’Italia ha fermato il contatore della spesa a 1,31 miliardi di dollari, seppur con un incremento del 10% in un anno e con un impulso degli investimenti pubblici (+23%).
Proprio gli investimenti pubblici sono lo specchio dei nostri limiti ma anche dei nostri pregi: se a livello globale solo l’8% delle risorse va all’efficienza energetica da noi questa voce è prima in classifica, con il 24%. Seguita un po’ a sorpresa – rileva l’I-Com – dal settore del nucleare, sia a sostegno di Enea e Cnr (sulla frontiera della fusione, ad esempio) sia per corroborare l’accidentata attività di smaltimento del nostro ex nucleare ora gestito dalla Sogin.
Nelle pubblicazioni scientifiche con i nostri 113 articoli prodotti a fronte dei 500 partoriti in Cina ce la caviamo comunque dignitosamente. Deludono i brevetti, ridotti a ad un lumicino. Eppure c’è una buona capacità dietro tutto ciò, come testimonia il commercio dei beni industriali energetici: con un saldo di 7,7 miliardi di dollari nel 2011 siamo messi meglio della Germania, ferma a 6,8 miliardi.
C’è insomma «un potenziale non sfruttato che potrebbe fornire ben altro ossigeno nostro sistema economico industriale con politiche pubbliche mirate, non necessariamente incompatibili con le ristrettezze economiche del nostro paese» rileva Stefano Da Empoli, presidente di I-com.