Home Cosvig Maccaferri, affari “verdi” tra sigari e mattoni

Maccaferri, affari “verdi” tra sigari e mattoni

907
0
CONDIVIDI
IL GRUPPO BOLOGNESE, CHE FATTURA 1,3 MILIARDI, SPAZIA SU 33 BUSINESS E SU MOLTEPLICI RELAZIONI, DA SQUINZI A MONTEZEMOLO. E PERSEGUE UN PROGETTO DA 500 MILIONI: TRASFORMARE I VECCHI ZUCCHERIFICI ERIDANIA IN PRODUTTORI DI ENERGIA VERDE DA BIOMASSE

Fonte: La Repubblica – Affari & Finanza

Autore: Enrico Miele

Bologna Sfruttare una legge Ue, che impone limiti alla produzione di zucchero, per dar vita a uno dei più grandi progetti di riconversione industriale del Paese. Mettendo sul piatto mezzo miliardo di euro di investimenti per infondere “nuova vita” agli ex zuccherifici Eridania, con l’obiettivo di trasformarli in centri per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. È l’ambizioso progetto con cui la Seci Energia, guidata dalla famiglia Maccaferri, ha stuzzicato l’interesse del colosso Enel Green Power, alleato del gruppo bolognese dopo l’acquisizione del 50% di Powercrop (impegnata nella riconversione delle vecchie fabbriche). E questo nonostante la crisi, il balletto del governo sugli incentivi al settore e gli ostacoli burocratici che rallentano il via libera agli impianti. Il progetto porta la “firma” dell’architetto Gaetano Macca-ferri, 62 anni, presidente del gruppo Seci e numero due di Confindustria. Ma le energie “pulite” sono solo la punta dell’iceberg, o l’ultima scommessa, di una delle holding più in salute del capitalismo nostrano. Una rete di 33 marchi che spazia dalle costruzioni alle biotecnologie. Passando per ingranaggi meccanici (Samp) e alimentare (Eridania), con incursioni nell’immobiliare e nei tabacchi (con il brand Sigaro Toscano). La testa del gruppo è a Bologna, gli oltre 50 stabilimenti tra l’Italia e il resto del mondo, dal Messico alla Cina. Inglobando un marchio dopo l’altro, il fatturato nel 2012 ha raggiunto quota 1,36 miliardi e le diverse società contano 4.500 dipendenti. Alla guida della holding, al 100% nelle mani della famiglia, c’è l’architetto. Mestiere che Maccaferri in realtà ha esercitato solo agli inizi della carriera, prima di gettarsi negli anni Ottanta anima e corpo nel gruppo industriale di famiglia da generazioni. «Per adesso siamo arrivati alle terza», sorride il presidente a cui si deve il recente salto di qualità. Il numero uno Seci proviene da una delle dinastie imprenditoriali più note del capoluogo emiliano (gli altri fratelli sono con lui ai vertici della holding). Il primo marchio, le Officine Maccaferri – l’unico che in futuro potrebbe sbarcare a Piazza Affari – è legato da oltre un secolo ai “gabbioni”, le reti metalliche impiegate in edilizia per opere di sostegno ed esportate in tutto in mondo. Insieme al saccarifero, l’ingegneria ambientale è il cuore del gruppo. Indifferente alle turbolenze dei mercati, la produzione in questo settore è passata dai 346 milioni del 2009 ai 479 milioni dello scorso anno (il 35% dell’intero fatturato). «In questo campo siamo ai vertici mondia-li, con tassi di crescita che non risentono della crisi». Da Eridania nel 2012 sono arrivati altri 422 milioni. Il portafoglio è ricco di società estere, dal Brasile alla Spagna. Quello della meccanica, «legato all’industria dell’auto », dagli ingranaggi ai cavi, è invece il settore più in difficoltà: in pochi anni ha visto dimezzare il fatturato (sceso a 89 milioni). «Abbiamo operato un impegnativo taglio dei costi, ma il mercato non dà segnali di recupero». In debito d’ossigeno anche l’immobiliare. Il sigaro Toscano è, al contrario, un piccolo lusso che rende: «Vanno benissimo, siamo molto attenti alla qualità e al rapporto con gli agricoltori». Dopo il boom del 25% di export in Europa nel 2012, c’è ancora spazio per “piazzare” sigari all’estero «dove i marchio è poco noto ». Per il resto «abbiamo resistito bene in questi anni grazie alla diversificazione e una forte presenza sui mercati esteri». E gli utili a fine anno non mancano. Come negli affari, rapida è stata l’ascesa di Maccaferri anche ai piani alti di Confindustria: diventando prima leader degli industriali bolognesi (2007) e poi dell’Emilia Romagna (2011). Dopo aver giocato il delicato ruolo di “grande elettore” di Giorgio Squinzi (sul cui nome gli imprenditori emiliani si sono spaccati), gli viene affidata la vicepresidenza nazionale. Da anni fa la spola per lavoro tra Roma e Bologna, «città che preferisco – ammette – perché ci vivo poco». Manager dai mille interessi, dalla caccia alla pittura, l’architetto è grande amico di un altro capitano d’industria bolognese, Luca Cordero di Montezemolo, che possiede anche una piccola quota del Sigaro Toscano. Ma il nuovo pallino del “re” dello zucchero sono le rinnovabili «dove abbiamo spostato il focus dei nostri investimenti», toccando per ora 228 milioni di fatturato (raddoppiato in quattro anni) a colpi di biogas e pannelli solari. Il grande salto è legato alla legge europea che dal 2006 dà la possibilità, sostenuta da contributi comunitari, di riconvertire al “verbo” delle rinnovabili gli ex zuccherifici Eridania (impianti che a regime potrebbero generare fino a un miliardo di chilowattora). «I progetti approvati per ora sono due, ma l’iter burocratico è laborioso, un calvario». Ostacoli che non hanno impedito l’alleanza con la costola green di Enel: «Il primo passo di un percorso di collaborazione su vasta scala nello sviluppo delle rinnovabili». Oltre 500 milioni di investimenti e 500 posti di lavoro ne fanno «il progetto più ambizioso nel nostro Paese sulle biomasse». Nel 2012 si sono aggiunti in casa Seci anche 32 impianti a biogas (tramite Sebigas) e l’accordo con altri partner per dieci centrali idroelettriche in Serbia. Ma le incognite non mancano: «La situazione economica induce alla prudenza ma l’obiettivo è proseguire la crescita nell’energia ambientale, anche in Sud America». All’orizzonte nessuna nuova acquisizione ma «gli investimenti, se non ci saranno altri ostacoli, continueranno».