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Strategia energetica nazionale, tra limiti strutturali e miopia politica

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L’analisi di Davide Maneschi, Ph.D. Fellow presso il Dipartimento di Pianificazione e Sviluppo della Aalborg University in Danimarca

Fonte: Greenreport

Autore: Davide Maneschi

La strategia energetica nazionale è stata adottata la settimana scorsa dal governo Monti, ancora in carica per la gestione degli affari correnti. Seppur un po’ vagamente, il documento delinea il percorso del sistema energetico per l’Italia fino al 2020, tracciando un cammino per il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di cambio climatico e per la sicurezza dell’approvigionamento energetico del paese. Molte associazioni ambientaliste hanno protestato contro l’adozione di un documento così importante da parte di un governo dimissionario, argomentando che la prima strategia energetica del paese dopo venti anni non può di certo essere considerata "ordinaria amministrazione". Dietro alla (legittima) dispiegazione di questi argomenti che si possono definire de jure si cela però un dissenso più profondo e de facto, che riguarda appunto la sostanza di un documento che appare sbilanciato nei suoi aspetti più strategici verso le energie fossili, soprattutto il gas naturale.
Non c’è dubbio infatti che, nonostante lo spazio dato alle energie rinnovabili, la "notizia" importante del documento di strategia energetica nazionale sia la trasformazione dell’Italia in un hub per il gas europeo, assieme a quella dello sbloccamento delle esplorazioni per lo sfruttamento di petrolio e gas nel territorio italiano.
Ma al di là delle considerazioni di merito su quale strategia sia meglio adottare, sia a livello ambientale che a livello economico, quali sono i presupposti che hanno portato la Sen a essere così come è? Semplificando un po’, si possono individuare presupposti di carattere politico, economico e ambientale.
A livello ambientale, la strategia è definita ovviamente dalla necessità di prendere misure per la mitigazione del cambio climatico. Questo obiettivo, e più in generale la sostenibilità del sistema energetico, viene nominato spesso nel testo del documento il quale – anche se forse in modo non molto convincente – ci ricorda essere il primo obiettivo della strategia.
In questo contesto, lo sviluppo e l’incentivazione all’utilizzo delle energie rinnovabili ha molta importanza, e si prevede un aumento della quota di energie rinnovabili dal 22 al 35-38% del mix energetico per l’energia elettrica da qui al 2020, mentre la quota di rinnovabili nel mix energetico totale dovrebbe salire al 20% (a fronte di un obiettivo europeo del 17%). Allo stesso modo, viene prevista una riduzione della richiesta energetica e delle emissioni di anidride carbonica, ipotizzando anche qui il superamento degli obiettivi europei (rispettivamente 20 e 18% di diminuzione entro il 2020).
Dal punto di vista economico, la strategia è fortemente caratterizzata dall’alto prezzo dell’energia in Italia: un problema soprattutto per le imprese, che si trovano a far fronte a costi di produzione più elevati rispetto ai concorrenti europei. L’Italia inoltre importa energia per circa 70 miliardi di euro all’anno, una cifra elevatissima che è da sola sufficiente a portare in rosso la bilancia dei pagamenti del Paese. In questo contesto, l’esigenza primaria è quella di abbassare i costi energetici e ridurre le spese di importazione. Lo sviluppo di uno snodo europeo per il gas e l’opera di esplorazione e sfruttamento sono quindi giustificabili in quanto (si spera) funzionali all’abbassamento dei costi.
Se la tensione tra ambiente ed economia giustifica certe scelte, l’aspetto politico/istituzionale è tuttavia il più importante per capire il carattere della strategia energetica nazionale.
In primo luogo, tutto il sistema energetico nazionale paga lo scotto di anni di scarsa o inesistente pianificazione, che ha comportato un ritardo nello sviluppo delle energie rinnovabili moderne (quindi escluso l’idroelettrico), recuperato solo in parte, e a caro prezzo, negli ultimi 4-5 anni. La rinuncia al nucleare degli anni ‘80 (e più recentemente a quella del 2011) non sono state bilanciate da reazioni a livello strategico, sia per garantire la sicurezza di rifornimenti energetici a un prezzo accettabile che per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Senza entrare troppo nei dettagli, il solo fatto che un documento strategico con un orizzonte temporale al 2020 sia adottato solo ad inizio 2013 parla chiaro in termini di ritardo nella pianificazione strategica. Tenendo conto di questi elementi si capisce ulteriormente l’importanza strategica della creazione di un hub del gas: sia come sostituto del carbone nella generazione elettrica per abbattere le emissioni di anidride carbonica, sia per diversificare i paesi di importazione in un’ottica di sicurezza energetica.
Un secondo motivo di natura politica è l’inesistenza di un ministero, o di una unità interministeriale che si occupi degli aspetti strategici (sia ambientali che economici) delle politiche energetiche nazionali, come anche notato da altri osservatori. In questo senso la strategia energetica, adottata dal ministero dello Sviluppo Economico, può essere vista come un compromesso fra le esigenza economiche e quelle ambientali, mentre perde tutta la possibile carica di innovazione e sviluppo che tale sfide richiedono. Nonostante i richiami del documento alla sostenibilità del sistema energetico, sembra chiaro che la priorità risieda nel garantire energia sicura e a buon prezzo, e che la sostenibilità sia solo uno sforzo addizionale per "abbellire" la strategia, che è infatti molto diversa, sia nel merito che nella forma, a quella tedesca o a quella danese che pur vengono richiamate nel testo. L’inesistenza di un’unità a livello istituzionale che si occupi di energia, economia e ambiente è quindi una fonte di miopia per cui vengono proposte soluzioni "collaudate" (per non dire vecchie) come il gas e il petrolio mentre si trascura l’opportunità di sviluppare nuove competenze e nuovi settori industriali in una visione di lungo periodo, come peraltro fatto da altri paesi.
Nell’assenza di ogni pianificazione pregressa, e col poco tempo disponibile, si é probabilmente fatto ciò che si é potuto, e nel corto termine è comprensibile il ruolo centrale del gas. Ma come si intende raggiungere i ben più ambiziosi obiettivi del 2050 che prevedono un taglio delle emissioni dell’80% con un sistema energetico basato sul gas e per giunta avviando l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti nazionali?
In altre parole, alle riconosciute necessità di corto periodo, non viene contrapposta nessun tipo di visione strategica per il 2050 (specialmente dal punto di vista ambientale) perpetuando così la mancanza di pianificazione a lungo termine e dando l’impressione che in fondo, per l’Italia, una riduzione sostanziale delle emissioni di anidride carbonica nel lungo temine non sia una priorità.