Un’attività imprenditoriale che, come spesso avviene nell’ambito delle rinnovabili in Italia, ha dovuto affrontare un’intricata selva di richieste burocratiche e amministrative, per poi partire con un quadro regolatorio e normativo che nel giro di poco tempo è mutato ripetutamente. Ne abbiamo discusso con Fausto Batini, a.d. di Magma Energy Italia.
Stante la tradizione storica della Toscana nella geotermia, perché investire in Italia per un operatore estero?
Quando Magma Energy è partita si intuiva che c’era un’apertura del mercato favorevole per società che potessero potare capitali in Italia. Occorre considerare che la Toscana, a livello mondiale, è una regione dalle risorse geotermiche molto interessanti. Inoltre, l’Italia ha un fabbisogno energetico particolarmente elevato e in questo senso le FER rappresentano la risorsa da sviluppare.
Qual è lo stato di avanzamento delle vostre attività in Toscana?
Abbiamo completato la prima fase dell’esplorazione di superficie, facendo studi geologici di dettaglio, prospezioni geochimiche, prospezioni gravimetriche, magnetiche e magnetotelluriche in entrambi i siti. Nel prossimo anno ci apprestiamo a fare la seconda fase dell’esplorazione di superficie, che prevede dei pozzetti con misure di gradiente termico a due o trecento metri di profondità, prospezioni sismiche di flessione e indagini di sismicità passiva o micro sismicità, per individuare potenziali fratture attive e fare studi di tomografia sismica. Stiamo pensando a un potenziale sviluppabile nell’arco di qualche anno compreso tra i 50 e i 100 MW. Questo sfruttando risorse geotermiche a temperature comprese tra i 140 e i 250 gradi.
Quanto tempo è servito per ottenere tutti i permessi?
Da quando abbiamo presentato la domanda a quando abbiamo avuto il decreto di rilascio, sono passati circa un anno nel caso di Mensano, e un anno e mezzo per Roccastrada, dove c’era anche concorrenza di altre società. Tempi non accettabili rispetto a quelli previsti dalla legge, che parla di 240 giorni. La stessa procedura è abbastanza farraginosa: devono essere fatte due domande; una è quella di permesso e l’altra di assoggettabilità a una valutazione di impatto ambientale. In entrambi i casi scattano una serie di consultazioni della Regione con tutti gli enti del territorio (Comuni, Provincia, Comunità Montane, Autorità di Bacino, Forestale, Soprintendenza, etc.) che costituiscono una lista enorme di interlocutori con circa venti soggetti chiamati a esprimere un parere. Una necessità per il futuro, dunque, è di coordinamento unico con un’autorizzazione unica.
Come valuta l’ultimo schema di incentivo?
Nel decreto ci sono alcune assunzioni tecniche ed economiche, ad esempio il costo per MW installato, riferite a centrali tradizionali a condensazione, già operanti in Italia, mentre la geotermia del futuro sarà a emissioni zero e re-iniezione totale, ambientalmente sostenibile. Quest’ultimo caso comporta dei costi ulteriori che non trovano riscontro nell’incentivo. Non si tratta comunque di nuove tecnologie, ma tecnologia a ciclo binario che nel mondo è ampiamente presente. In Italia questa installazione non è stata mai fatta, si tratta di adattare al nostro Paese ciò che nel mondo già esiste. Gli incentivi attuali, comunque, sono accettabili seppur migliorabili, ad esempio, con tariffe rivalutabili in base all’inflazione. Inoltre, sono pochi gli incentivi per i progetti in greenfield, dove il rischio è più alto.
Lo sviluppo della geotermia può attivare una filiera industriale nazionale per la produzione di componenti e impianti.
Se si riuscissero a mettere in pista una serie di progetti, per fare un esempio nell’ordine di 100 o 200 MW di geotermico al 2020, ci si porrebbe la domanda di dove andare a comprare le turbine. In Italia esistono costruttori di questi impianti, società in grado di realizzare turbine a ciclo binario. Dunque, quello che serve è un mercato, generando una filiera che possa essere competitiva. L’importante è creare le condizioni per gli investimenti e ciò può avvenire soltanto attraverso un quadro regolatorio stabile.