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La geotermia e il sistema energetico del sottosuolo

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Il concetto di strategia energetica passa attualmente attraverso una corretta applicazione del miglior mix possibile tra fonti, tenuto conto delle condizioni di partenza. In tale mix, e ciò vale per ogni differente Paese, maggiore è la quantità di risorse “disponibili” impiegate e migliore sarà la possibilità di garantire sicurezza energetica e bilanciamento di mercato, con una serie di dinamiche che sottintendono a un sistema integrato. All’interno di questo sistema, la geotermia rappresenta per tecnica e applicazione un’utile soluzione per avvicinare e porre in equilibrio fonti rinnovabili e tradizionali.

Fonte: Canale Energia.com

Autore: Antonio Jr Ruggiero

Parlare di geotermia significa anche, in termini pratici, rapportarsi con il problema economico di un ritorno degli investimenti in un lasso di tempo superiore rispetto ad altre tecnologie rinnovabili, con l’aggiunta di una tradizionale avversione sociale nei confronti delle operazioni che “tocchino” il sottosuolo. Senza dimenticare peraltro una certa scollatura di fondo tra ricerca, industria e politica, a dispetto della grande richiesta di dialogo tra i primi due soggetti. A fronte di dette criticità, l’esplorazione del sottosuolo consente di mettere in relazione in modo positivo una serie di fattori contingenti, con effetti potenzialmente positivi in termini di sviluppo tecnologico, mercato del lavoro ed evoluzione scientifica.

La discussione in merito a questa possibilità è emersa tra gli approfondimenti affrontati nel corso dell’International School Of Geophysics (Erice, 25 settembre – 1 ottobre), organizzata da INGV, CNR e l’istituto tedesco GFZ. Come spiega Fedora Quattrocchi, direttrice del corso (con Adele Manzella ed Ernst Huenges): “La geotermia è fondamentale in un Paese come l’Italia, poiché consente di rimettere in moto l’industria nazionale delle materie prime dal sottosuolo; un comparto ormai residuale, basti pensare che dagli anni ‘90 le perforazioni si sono sempre più ridotte, perdendo un know-how che consente di sviluppare tecnologia e innovazione. La geotermia è una delle poche realtà che, se accoppiata ad altre filiere, può rivoluzionare il modo di fare ricerca e produzione nel sottosuolo”.

Nello specifico: “Nel passato – prosegue la direttrice della scuola – chi realizzava un pozzo lo faceva riferendosi alla geotermia o agli idrocarburi, oggi non è più così perché le possibilità sono varie: shale gas, stoccaggio di CO₂ o di metano, geotermia e ricerca di acqua profonda per motivi di idro-potabilità. Le sinergie sono moltissime ma gli operatori devono mettere insieme tutto ciò in un unico blocco aziendale, senza dividere come in passato. Un buon utilizzo, dunque, prevede la possibilità di scavare dei pozzi, fare le dovute operazioni e poi decidere cosa meglio sviluppare”.

Un secondo vantaggio è dato dal fatto che la geotermia è una rinnovabile “che riesce a produrre, in termini di densità elettrica per uso di territorio (GW/h per ettaro per anno), molto più delle rinnovabili tradizionali, soprattutto se si affermeranno alcune tecnologie come quelle viste nel corso dell’International School: scambi di calore, cicli binari, cicli ternari, presenza di turbine in pozzo senza scambi di fluidi”.

Le difficoltà maggiori, però, come spesso accade in Italia, sono dettate da logiche di regolazione: “Questo tipo di ragionamento non è fatto dalle Regioni, che non agiscono in ottica di sistema, ad esempio attraverso un Piano regolatore del sottosuolo – non ancora introdotto – ma che come gruppo di INGV abbiamo proposto e pubblicato per Lazio e Campania. Tutte le Regioni ormai devono avere per legge un piano energetico, dato il decentramento delle competenze; dunque, un piano energetico nazionale è ridondante se questi enti territoriali non hanno già deciso cosa vogliono attuare. Nel caso della geotermia, delegare tali funzioni alle Regioni è un errore, perché così questa risorsa ha regole completamente diverse da quelle dello stoccaggio e degli idrocarburi: così non si fa sistema”.