Dini (IGG-CNR): «Il potenziale di tutta l’area centrale d’Italia è elevatissimo, mostriamo di saper valorizzare le nostre risorse senza nascondere fuori casa i problemi ambientali»
La controllata italiana della società tedesca Vulcan ha ottenuto un primo permesso per cercare litio nelle salamoie geotermiche del Lazio, aprendo nuove possibilità per la transizione energetica italiana ed europea.
L’UE ha infatti inserito il litio tra le materie prime critiche – fondamentale per la produzione di batterie che stanno trasformando ad esempio il comparto della mobilità –, stimando un fabbisogno in crescita di quasi 60 volte al 2050.
Ad oggi dipendiamo fortemente dall’estero per l’estrazione di questa commodity, che ha raggiunto ormai un valore pari a 47.500 dollari per tonnellata, ma che presenta in genere impatti ambientali notevoli.
Generalmente l’estrazione del litio avviene infatti in cave a cielo aperto, come nelle miniere o nei salar del Sud America, con un impatto ambientale enorme per le emissioni di CO2 data dall’intensità energetica necessaria a questo processo, senza sottovalutare il consumo di suolo e di acqua.
Al contrario, l’estrazione di litio dalle brine geotermiche presenta profili di sostenibilità molto più elevati.
«Dopo un’ampia revisione geologica – spiega Francis Wedin di Vulcan, – abbiamo identificato un’area in Italia con indicazioni positive di portata, grado storico di litio e temperatura del serbatoio geotermico, che potrebbe essere favorevoli al metodo Vulcan di utilizzare il calore rinnovabile per estrarre litio per il mercato europeo dei veicoli elettrici, con un’impronta netta di CO2 pari a zero. Lavoreremo con i partner locali per accertare più in dettaglio il potenziale dell’area e stabilire i prossimi passi».
Tutto nasce dall’istanza per la verifica di assoggettabilità a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) partita lo scorso luglio con la Regione Lazio; l’istruttoria si è recentemente conclusa escludendo il procedimento di VIA (con prescrizioni) per questa prima fase del progetto, che dovrebbe durare circa 500 giorni, in quanto non sono previsti particolari impatti ambientali.
La fase 1 consiste esclusivamente nello studio di dati provenienti dai pozzi geotermici realizzati nel passato, da rilievi geologici di superficie e da analisi di laboratorio su campioni di gas, fluidi e rocce prelevati in sito.
«L’Italia ha inventato la geotermia e quindi ha un’esperienza notevolissima su come si estraggono questi fluidi – spiega su Radio24 Andrea Dini, primo ricercatore dell’IGG-CNR – Le brine geotermiche sono acque salate, ad una temperatura in genere tra i 100 e i 300°C: si può parlare dunque di salamoie calde, dove sono presenti molti sali come ad esempio il litio, sotto forma di cloruro, solfato o carbonato disciolto nell’acqua. Queste brine si intercettano in genere in aree geotermiche, dov’è attiva un’anomalia termica: l’acqua che circola nel sottosuolo scioglie i sali dalle rocce circostanti e quindi porta alla formazione di queste brine con alte concentrazioni di metalli».
Come sottolinea Dini, per il litio geotermico il «potenziale di tutta l’area centrale d’Italia è elevatissimo», e permetterebbe di alimentare la nostra transizione ecologica senza sobbarcarne le ricadute ambientali su altri popoli e territori: «Ci ha fatto comodo da un punto di vista geopolitico dimenticare ciò che abbiamo sotto i piedi. Il nostro territorio in Europa è ricco di metalli, e chiaramente vanno estratti in modo responsabile: facciamo vedere che siamo in grado di valorizzare le nostre risorse senza nascondere fuori casa i problemi ambientali, sobbarcando altri Paesi».
La presenza di litio geotermico nell’area dell’Italia centrale del resto non è una novità.
L’area del permesso di ricerca minerario, identificato con il nome “Cesano”, si trova nella regione vulcanica dei monti Sibillini, a pochi chilometri dal lago di Bracciano; ricade in un fazzoletto di terra di 11,5 kmq nel Comune di Camagnano di Roma, che a sua volta fa parte della Città Metropolitana di Roma capitale.
Nel 1975 fu l’Enel a scoprire un fluido geotermico d’interesse nell’area, scavando il pozzo Cesano 1 fino a 1.390 metri di profondità, trovando una temperatura di circa 200°C e un contenuto di litio pari a 350-380 mg/L.
Questi dati storici sulla concentrazione di litio sono «tra più alti a livello mondiale registrati in un ambiente geotermico con falda acquifera confinata» e dunque, come spiegano da Vulcan, il campo geotermico di Cesano «presenta caratteristiche molto favorevoli» per la produzione di questo metallo strategico per la transizione ecologica.
Sotto questo profilo, la geotermia italiana rappresenta dunque una chance doppiamente ghiotta per la transizione ecologica, dato che è possibile ricavare al contempo energia rinnovabile e litio a basso impatto ambientale, come sostiene da tempo il Consiglio Europeo per l’Energia Geotermica (EGEC).
Una possibilità che non riguarda certo solo Cesano.
Come spiega l’Unione Geotermica Italiana (UGI), che proprio in questi giorni ha avanzato la proposta di istituire un tavolo tecnico nazionale per fare il punto su criticità e possibilità dello sviluppo geotermico nel nostro Paese, in «varie regioni (Emilia, Sardegna, Sicilia, Toscana) si conoscono acque di minor termalità con contenuti significativi di litio. Esiste peraltro un ovvio potenziale nei campi geotermici ad alta entalpia della Toscana, come dimostra l’interesse manifestato da Enel, attraverso il bando Brinemine, a individuare tecnologie atte al recupero del litio (e di altri metalli) dai fluidi geotermici. Andrea Dini, ricercatore dell’IGG-CNR, evidenzia inoltre come nel granito situato a poca profondità nel campo geotermico di Larderello sia presente una mica (biotite) ricca in litio; si stima un contenuto di litio di circa 500 g per m3 di roccia, si tratta dunque di una sorgente potenziale del tutto ragguardevole».