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Geotermia: dai Campi Flegrei fuoriescono naturalmente 3.500 ton di CO2 al giorno

Chiodini (INGV): «Negli ultimi anni nella zona della Solfatara e di Pisciarelli è stata osservata una più frequente attività sismica e un aumento delle stime di temperatura e pressione basate sulla composizione dei gas emessi dalle fumarole campionate»

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Chiodini (INGV): «Negli ultimi anni nella zona della Solfatara e di Pisciarelli è stata osservata una più frequente attività sismica e un aumento delle stime di temperatura e pressione basate sulla composizione dei gas emessi dalle fumarole campionate»


Nell’area dei Campi Flegrei, dove non ci sono centrali geotermoelettriche attive ma è presente da sempre un’attività geotermica intensa nel sottosuolo, una ricerca condotta dall’INGV mostra come negli ultimi anni sia notevolmente aumentato il degassamento della CO2 in contemporanea a un aumento della microsismicità.

È quanto afferma lo studio Hydrothermal pressure-temperature control on CO2 emissions and seismicity at Campi Flegrei (Italy), appena pubblicato sul ‘Journal of volcanology and geothermal research’ con primo autore Giovanni Chiodini.

«Negli ultimi anni nei Campi Flegrei, in particolare nella zona della Solfatara e di Pisciarelli – spiega Chiodini – è stata osservata una più frequente attività sismica e un aumento delle stime di temperatura e pressione basate sulla composizione dei gas emessi dalle fumarole campionate».

Si tratta di una ricerca che – sottolineano dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – è priva al momento di immediate implicazioni in merito ad aspetti di protezione civile, ma che al contempo riveste un’importante valenza scientifica.

«Analizzando i dati – prosegue Chiodini – abbiamo osservato che parametri completamente indipendenti, come quelli geochimici e sismici, sono nel tempo variati insieme. Fra i parametri analizzati c’è il flusso diffuso di anidride carbonica (CO2) dai suoli dell’area. Dall’elaborazione risulta un aumento della quantità di CO2 emessa che dalle circa 1500 tonnellate al giorno nel periodo ante 2017 è passata alle circa 3500 tonnellate al giorno nel periodo successivo. Questa variazione di emissione di anidride carbonica è contemporanea all’aumento della sismicità».

Un team di ricercatori INGV coordinato sempre da Chiodini ha osservato risultati analoghi anche lungo l’Appennino; lo studio in questione, pubblicato lo scorso anno, ha portato a capire come i terremoti appenninici nel periodo 2007-2019 (inclusi gli eventi catastrofici del 2009 e 2016) siano stati accompagnati da picchi evidenti nella quantità di CO2 trasportata dalle grandi sorgenti naturali in Appennino: in un decennio, si stima siano circa 1,8 le milioni di tonnellate di CO2 rilasciate nell’area.

Nel caso dei Campi Flegrei inoltre – aggiungono dall’INGV – la maggior parte degli ipocentri dei piccoli terremoti sono avvenuti nella parte superficiale di una struttura verticale che è stata individuata tramite tecniche di magnetotellurica.

Tale struttura è stata interpretata come un plume di gas: lo stesso che alimenta il flusso di CO2 misurato nei suoli della Solfatara e che è stato oggetto dell’aumento della stima di pressione e temperatura. Questa coincidenza, sia temporale che spaziale, ha suggerito ai ricercatori che le variazioni osservate sono causate dalla pressurizzazione della struttura presente nel sottosuolo della Solfatara.

«Il prossimo passo della ricerca – conclude Chiodini – potrebbe essere l’esecuzione di studi specifici per definire con maggiore accuratezza la geometria della struttura presente sotto la Solfatara dove il gas, accumulandosi, innesca sismicità e alimenta l’emissione in superficie. In altre parole, lo studio, al momento, si riferisce ad una sezione 2D mentre l’obiettivo sarebbe di avere un modello 3D, ovvero una vera tomografia dei primi chilometri del sottosuolo della Solfatara».

Studi che potrebbero anche contribuire a chiarire le potenzialità di un’eventuale coltivazione (e dunque monitoraggio e controllo) delle abbondanti risorse geotermiche presenti nell’area dei Campi Flegrei.

Dallo stesso INGV è stato più volte sottolineato come il potenziale geotermico italiano sia ad oggi «sicuramente sottoimpiegato», e sotto questo profilo il sud Italia sembra offrire potenzialità latenti di alto interesse.

Già nel 2013 lo SVIMEZ – l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – individuava al sud «un enorme potenziale non sfruttato in campo geotermico», mentre nel 2015 avanzava l’idea di progettuale di riscaldare e raffrescare tutti gli edifici (residenziali e produttivi, pubblici e privati) dell’intera Provincia di Napoli tramite il calore geotermico: convertire alla geotermia gli oltre 10mila edifici che ospita la sola città di Napoli significherebbe poter mobilitare investimenti per 2,44 miliardi di euro, con 15mila persone in più occupate.