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Geotermia: l’esperimento Borexino spiega da dove proviene il calore del sottosuolo

Il nostro pianeta è come un enorme motore termico, dove una porzione non trascurabile dell’energia che alimenta anche vulcani e campo magnetico è prodotta dalla radioattività naturale terrestre

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Il nostro pianeta è come un enorme motore termico, dove una porzione non trascurabile dell’energia che alimenta anche vulcani e campo magnetico è prodotta dalla radioattività naturale terrestre


Grazie all’estrema sensibilità che ha caratterizzato l’esperimento Borexino, i Laboratori nazionali del Gran Sasso sono riusciti a dimostrare che buona parte del calore sprigionato dalle viscere della Terra – lo stesso che alimenta (anche) la geotermia – deriva dal decadimento radioattivo dell’uranio-238 e del torio-232 presenti nel mantello terrestre, spesso quasi 3.000 km, su cui poggia la sottile crosta che noi calpestiamo: dopo più di dieci anni di acquisizione dati e una loro sofisticata analisi, la collaborazione internazionale che conduce l’esperimento dei Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha pubblicato i nuovi risultati sui geoneutrini sulla rivista Physical Review D, che per il loro valore li ha selezionati come Editors’ Suggestion, annoverandoli tra gli articoli considerati di maggiore rilievo e interesse scientifico.

«Per la prima volta il segnale dei neutrini prodotti dai processi di decadimento radioattivo di uranio e torio distribuiti nel mantello terrestre è stato chiaramente osservato – spiega Gioacchino Ranucci, ricercatore della sezione INFN di Milano e co-responsabile della collaborazione scientifica Borexino – permettendo di escludere al 99% l’ipotesi di assenza di radioattività nelle profondità della Terra».

In particolare – come spiegano dall’INFN -, i ricercatori di Borexino hanno stimato con un’alta probabilità (circa 85%) che siano i decadimenti radioattivi nelle rocce a produrre più della metà del calore terrestre: un’evidenza che apre nuovi scenari nell’esplorazione geochimica del nostro pianeta.

Essendo stato fissato un valore minimo di abbondanza di uranio e torio nel mantello terrestre, è possibile infatti affermare che una porzione non trascurabile dell’energia che alimenta vulcani, terremoti e il campo magnetico terrestre sia prodotta dalla radioattività naturale terrestre.

Ogni secondo circa un milione di geoneutrini attraversano un centimetro quadrato della superficie della Terra: si tratta di particelle prodotte dalla radioattività naturale terrestre, e rappresentano una delle poche sonde che abbiamo a disposizione per esplorare direttamente le viscere della Terra.

Ed è proprio grazie all’osservazione e allo studio di queste particelle che l’esperimento Borexino è riuscito a spiegare l’origine del calore naturalmente presente nel sottosuolo.

Già nel XVII il chimico Robert Boyle sosteneva l’esistenza di un gradiente geotermico, cioè che la temperatura della crosta terrestre aumenta con la profondità: si tratta, in media di un incremento pari a 2,5-3 °C ogni 100 metri, ma in alcune regioni – a causa delle caratteristiche geologiche del sottosuolo – si arriva a 25-30 °C ogni 100 metri.

Complessivamente, la Terra ogni anno rilascia energia pari a 33 miliardi di Tep, ben oltre l’attuale domanda di energia primaria mondiale, che le tecnologie geotermiche permettono di imbrigliare in piccola parte per metterla a servizio delle attività umane.

I processi responsabili della produzione di questo calore sono vari, e da tempo sappiamo che un ruolo fondamentale arriva dal decadimento radioattivo di elementi quali l’uranio, il potassio e il torio.

Prima dell’esperimento Borexino non si era però mai giunti a una misura tanto dettagliata del ruolo che la radioattività naturale ha nella produzione del calore terrestre: «La prossima sfida della comunità scientifica – conclude Marco Pallavicini, ricercatore della sezione INFN di Genova e co-responsabile della collaborazione scientifica Borexino – è riuscire a misurare i geoneutrini provenienti dal mantello con una significatività statistica maggiore, magari con rivelatori distribuiti in luoghi diversi sul nostro pianeta».