Nel gennaio del 2012, una schiera di specialisti mondiali nelle «geostrutture energetiche» si riuniranno su invito del professore Lyesse Laloui, direttore del laboratorio di meccanica del suolo del PFL, per un seminario cofinanziato dalla National Science Foundation americana.
L’idea di base è talmente semplice da sembrare quasi banale eppure la posta in gioco è enorme. Senza saperlo, infatti, noi tutti viviamo su un’autentica fornace. Pur non conoscendo la temperatura esatta del centro della Terra, il 99 per cento della massa del nostro pianeta ribolle letteralmente sotto i nostri piedi a oltre 1000 gradi centigradi!
Più si scende in profondità e più la temperatura sale. Poiché ogni costruzione di una certa importanza possiede fondamenta più o meno profonde, è sufficiente inserirvi dei tubi in cui scorre un fluido che trasmette bene il calore (detto anche fluido termovettore) per recuperare questa energia termica tramite delle pompe di calore.
Il sistema funziona sia nei pali di fondazione di grandi immobili o ponti, sia negli ancoraggi o nelle pareti di tunnel o scantinati di ville private. Nelle città dove manca lo spazio per posare delle serpentine che corrono in orizzontale nel sottosuolo, è perfino la soluzione ideale.
Una questione di profondità
Le geostrutture energetiche sono opere che sfruttano la geotermia a bassa energia, ossia il calore esistente tra gli 1 e i 100 metri sotto la superficie terrestre. A queste profondità, la temperatura resta pressoché stabile tutto l’anno attorno ai 10-12 gradi centigradi. Non è molto, ma per una buona pompa di calore è più che sufficiente per riscaldare un edificio impiegando il sottosuolo come sorgente di calore. Tale processo può funzionare anche all’opposto per raffreddare l’edificio durante l’estate.
Nulla a che vedere quindi con la geotermia profonda che prevede la perforazione di pozzi profondi fino a 5 chilometri e l’utilizzo dei 150-200 gradi centigradi di temperatura ambiente per produrre vapore che aziona delle turbine elettriche. Inoltre, con le geostrutture energetiche, il rischio di provocare un terremoto come quello verificatosi nel 2006 a Basilea (3,4 gradi sulla scala Richter) in seguito alle trivellazioni per il progetto «Deep Heat Mining» è nullo.
Un centro di eccellenza
L’idea di integrare nelle fondamenta degli edifici dei tubi contenenti un fluido termovettore è vecchia tanto quanto le pompe di calore che rendono possibile lo sfruttamento di questi pochi gradi. «È una cosa che facciamo da trent’anni, conferma Lyesse Laloui, ma in modo empirico, mentre qui al PFL siamo stati i primi a testare il comportamento di questo tipo di fondamenta in condizioni reali.»
«Bisogna tenere presente – prosegue il professore – che con questo sistema si riscaldano e raffreddano le fondamenta e il suolo circostante ciò che comporta rispettivamente una dilatazione e una contrazione dei materiali. Se l’edificio è costruito su un suolo argilloso, quest’ultimo si restringerà quando lo si riscalda, ma raffreddandosi, non rioccuperà il suo spazio originario.»
Proprio per misurare questo tipo di deformazioni, undici anni or sono, il PFL ha inserito nel suolo il primo palo energetico del mondo per scopi puramente sperimentali. «Ad oggi, siamo i soli ad aver sviluppato un software destinato agli architetti e agli ingegneri per dimensionare questo tipo di opere», aggiunge Lyesse Laloui.
Forte di questa competenza, ripresa in particolare dall’Università di Cambridge con la quale collabora nel quadro di numerosi progetti, il PFL ha stabilito che il suo futuro Centro dei congressi sarà provvisto di fondamenta energetiche e confida di fare altrettanto con il futuro Museo delle belle arti di Losanna e il nuovo ospedale Riviera-Chablais di Rennaz (Vaud).
Nel primo caso, l’intento di trovare soluzioni ecologiche per l’approvvigionamento energetico è menzionato nella gara di appalto. Nel secondo, per fare opera di convincimento il PFL fa affidamento sul proprio vicepresidente, Francis-Luc Perret, membro del comitato per la costruzione del nuovo ospedale.
La posta in gioco è enorme
Al momento, infatti, né gli architetti né gli imprenditori immobiliari sono disposti a lanciarsi in una tecnologia ancora poco conosciuta e tendono piuttosto a optare per soluzioni collaudate. «Se puntare su una tecnologia che promette di far risparmiare energia nei successivi cinquant’anni significa rischiare di vedersi affossare un progetto [a causa dei suoi costi leggermente più elevati], a loro modo di vedere il santo non vale la candela», sintetizza Lyesse Laloui.
Secondo il direttore del Laboratorio di meccanica del suolo del PFL, spetta alle autorità dare l’impulso. «L’Ufficio federale dell’energia sta già compiendo sforzi notevoli, ora tocca ai Cantoni e agli enti locali promuovere questa tecnologia. In ogni caso, sono convinto che stiamo andando nella giusta direzione.»
A tale scopo, torna utile citare l’esempio dell’Inghilterra dove, nel giro di cinque anni, il numero di pali energetici installati nel sottosuolo ha registrato un’impennata – non dovuta al caso – da alcune centinaia a oltre 5000. Il Municipio di Londra ha addirittura raccomandato che tutti i nuovi edifici pubblici ne siano provvisti.
Circa metà dell’energia consumata in Svizzera serve a riscaldare spazi e a produrre acqua calda. Benché non vi siano studi numerici al riguardo, è evidente che le tecnologie che consentono di svolgere questi compiti con un dispendio energetico e un livello di emissioni di CO2 sensibilmente ridotti hanno un potenziale enorme.