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Incentivi al fotovoltaico? Più all’industria e meno alla domanda

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Che aria tira nel mercato del fotovoltaico italiano? Qualenergia.it intervista Filippo levati, presidente di IFI, che propone una possibile riforma del sistema incentivante: premiare di più industria, ricerca e sviluppo, anziché promuovere solo la domanda, per creare una filiera competitiva che gioverebbe al sistema-paese

Fonte: Qualenergia.it

Autore: Giulio Meneghello

 

Giulio Meneghello
Come sta andando il mercato del fotovoltaico italiano e che prospettive ha davanti? Continuiamo la nostra serie di interviste con gli esperti del settore. Oggi parliamo con Filippo Levati presidente del Comitato IFI, associazione di categoria che  annovera fra i soci fondatori le principali aziende italiane produttrici di celle e moduli fotovoltaici.
Levati, come descriverebbe la fase attuale del mercato italiano del fotovoltaico?
E’ un mercato ancora in una fase di assestamento e di incertezza. La normativa cambiata di recente ha determinato un grosso mutamento nel tipo di investimenti, sfavorendo i grandi impianti a favore di impianti medio piccoli e del residenziale. C’è stata poi una grande incertezza dovuta a poca chiarezza in alcune delle norme, come quella dell’incentivo alla produzione made in Europe. C’è stata un po’ di confusione quando in realtà la propensione del cliente da alcuni mesi è molto più spinta verso la qualità. Questo ha portato un grande vantaggio per i prodotti europei: peccato che regole fumose, come quella del premio, che viene riconosciuto anche a prodotti extreuropei con una cerca percentuale di componenti fatte in Europa, abbiano frenato questo volano per la tecnologia europea.
La stretta del credito dettata dalla crisi economica e finanziaria sta pesando anche sul fotovoltaico?
Assolutamente sì. Il credit crunch è arrivato anche nell’economia reale e per il fotovoltaico. C’è da dire che il fotovoltaico dopo il primo credit crunch del 2007-2008 aveva goduto di un certo privilegio, per via dello spostamento dei flussi di credito verso i settori a minor rischio. Con l’ultimo cambio di normativa e l’attuale contesto macroeconomico le maglie del credito si sono strette. Anche perché, va detto, gli schemi di finanziamento erano piuttosto generosi. Si sono visti finanziamenti piuttosto sbilanciati, con un rapporto tra debito e capitale proprio di 80 a 20, per fare un investimento di un milione di euro fino a qualche mese fa era sufficiente avere un capitale di 200mila euro. Ora con i nuovi tassi di interesse c’é stata una stretta e un rallentamento nei crediti. Da una parte, una maggiore oculatezza nel concedere i prestiti può essere anche virtuosa, ma la frenata è stata molto consistente e ora in condizioni di incertezza si tende a non concedere il credito anziché fare analisi più approfondite.
In questi ultimi tempi abbiamo assistito anche a un forte calo dei prezzi di celle e moduli. Come si sta riflettendo sul settore?
E’ un tema di crisi dal lato dell’offerta. Molti fornitori asiatici hanno realizzato aumenti di capacità produttiva, pensando all’esplosione di nuovi mercati globali, attesa questo anno e poi ritardata: si pensi agli Usa, al Canada, alla Francia, oltre che al rallentamento che c’è stato in Germania. Siamo entrati in un periodo di sovracapacità, per cui il calo dei prezzi è dovuto solo in misura minore all’assestamento del costo delle materie prime e dei componenti. E’ un calo di prezzi tattico dovuto alla sovrapproduzione. Questo congiunturalmente si è verificato in un momento in cui l’Italia, il mercato fotovoltaico che più sta crescendo, è diventata il mercato naturale di sbocco: tutta questa questa sovracapacità si è riversata qui. E’ evidente che ciò ha avuto un impatto devastante sulle aziende italiane. Non si tratta di un mero aspetto competitivo, come essere più bravi a creare economie di scala, prodotti più efficienti, eccetera. Si tratta di una dinamica di sussidio: con le distorsioni che si creano in mercati incentivati si è ha un differenziale insostenibile per le imprese italiane ed europee. A tale proposito vorrei citare l’iniziativa anti dumping intrapresa negli Stati Uniti intrapresa dalla tedesca SolarWorld (che assieme ad altre aziende ha denunciato all’International Trade Commission statunitense quelle che ritiene essere pratiche di dumping delle aziende cinesi, che possono abbassare i prezzi grazie anche agli aiuti di Stato, ndr).
Già nel 2012, al ritmo delle installazioni visto quest’anno, il conto energia potrebbe raggiungere il tetto di spesa indicato nel decreto di 6-7 miliardi. Se il meccanismo incentivante dovesse essere rimesso in discussione che proposte farebbe?
Bisogna abbandonare decisamente un modello incentivante che va a stimolare solamente l’adozione del fotovoltaico, ovvero la domanda. I sussidi ora vanno nelle mani del consumatore finale, dell’investitore e non dell’industria. Invece sarebbe importante incentivare ricerca e sviluppo e nuove attività industriali. Una tipologia di sussidi che vadano a scaricarsi su investimenti stabili di medio e lungo periodo. In modo che si possa consolidare un’industria nazionale del fotovoltaico capace di competere anche sui mercati internazionali una volta che si raggiunga la grid-parity. Anziché preoccuparci di fare tanto fotovoltaico, dovremmo pensare a quale tipo fotovoltaico si deve fare e soprattutto a dove investire i nostri sussidi in modo che questi ritornino. Un ritorno che non si misura solo nella quota di rinnovabili nel mix energetico, ma anche in quante fabbriche si aprono, quanti posti di lavoro si creano, quanto forti diventiamo in termini di leadership tecnologica in questo settore che è ancora agli inizi. La nostra proposta è: meno incentivi, ma di migliore qualità e orientati a fare sviluppo industriale. Occorre abbandonare logiche di crescita dissennata, troppo rapida, che aumentano i costi senza far sì che questi si tramutino in investimenti per il sistema Paese.