Il piano, che sarà finanziato dalla Regione con 150mila euro, sarà avviato grazie al coordinamento stretto tra assessorati regionali all’ambiente e alla sanità e le Aziende sanitarie.
Le Asl di Siena, Grosseto e Pisa si attiveranno da subito per elaborare specifici piani di salute per approfondire alcuni elementi di criticità che, pur nel quadro epidemiologico generale rassicurante, sono emersi dalla ricerca condotta da Ars e a supporto saranno chiamati specialisti e medici di Medicina generale. Verrà incrementata anche l’attività degli ambulatori endoscopici e di prevenzione dei tumori, in particolare dello stomaco e del colon-retto, saranno potenziate le attività di diagnosi precoce e di adesione della popolazione all’invito allo screening. Raccogliendo anche spunti emersi dagli incontri con i cittadini, gli epidemiologi studieranno più in profondità l’eccesso di malattie respiratorie acute e croniche e dei problemi urinari, in particolare nell’area amiatina, anche ricostruendo storie cliniche e di stili di vita del passato.
“Si tratta di un piano di salute mirato alla realizzazione di interventi fattibili e di dimostrata efficacia – spiega l’assessore regionale al diritto alla salute Daniela Scaramuccia -, che coinvolge il lavoro di molti operatori sanitari locali e ricercatori”.
Intanto, Francesco Cipriani, direttore dell’Ars, l’Agenzia Regionale di Sanità, che ha condotto lo studio e proseguirà con gli approfondimenti, chiarisce alcuni punti: “Prima di tutto le percentuali, che fanno apparire gigantesco ciò che in numeri assoluti è piccolo”, dice Cipriani. Lo studio sui residenti nelle aree getoremiche ha mostrato, tra gli altri risultati, anche un numero di decessi per tubercolosi tra i maschi nel periodo 2000-2006 di quasi sei volte maggiore (566,7%, per la precisione) rispetto ai loro coetanei toscani residenti in aree non geotermiche. “Se andiamo a vedere di quanti casi realmente si sta trattando – osserva Cipriani -, passando cioè dalle percentuali ai numeri assoluti, si vede che l’accesso del 566% è sostenuto da 8 casi di decessi per tubercolosi in sette anni: in pratica, poco più di un caso all’anno, rispetto ai circa 0,2 casi all’anno attesi sulla base della mortalità regionale. Numeri modesti, che l’espressione percentuale accentua e drammatizza significativamente. Ciò non toglie che l’eccesso esista – afferma il direttore dell’Ars – L’esperienza epidemiologica insegna che occorre però molta prudenza nell’interpretazione di indicatori statistici basati su poche osservazioni. Negli approfondimenti avviati e in corso saranno meglio evidenziati proprio i limiti di queste interpretazioni”.
Un ultimo commento, molto importante, di Francesco Cipriani: “L’eccesso di tubercolosi – informa l’epidemiologo – non è in queste aree inatteso. Va infatti di pari passo con l’eccesso rilevato di pneumoconiosi, che è malattia tipicamente professionale, dovuta ad esposizione cronica a polveri, e qui attribuibile, con ogni probabilità, al lavoro in miniera. Sappiamo da sempre che la pneumoconiosi predispone e si accompagna alla tubercolosi. Dunque l’eccesso di Tbc è con ogni probabilità conseguenza dell’eccesso di pneumoconiosi. E forse anche in parte dovuta ad una maggior precisione nella certificazione diagnostica di queste patologie da parte dei medici con esperienza in aree minerarie”.