Home Geotermia Storia della geotermia – …dal 1943 al 1986…

Storia della geotermia – …dal 1943 al 1986…

L’armistizio dell’8 settembre 1943 annunciato dal governo Badoglio gettò di fatto l’Italia nella guerra civile, lasciandola alla mercé di quelle che – da truppe alleate – si trasformarono nel giro di una notte, in occupanti in ritiro verso il Settentrione, dove era maggiore la presenza germanica.

Un ritiro che, oltre alle vite umane, ebbe conseguenze gravissime anche per quanto riguarda il grandissimo patrimonio degli impianti industriali di Larderello che vennero praticamente spazzati via e fatti saltare in aria durante la ritirata.

La Centrale 2 distrutta

Alcuni testimoni dell’epoca riferirono che, le centrali, al momento dello scoppio delle cariche di dinamite erano sembrate come sollevarsi in aria di alcuni metri, per poi ricadere giù, come giganti di pietra morenti, sbriciolandosi, e portando con sé – almeno così sembrava – tutto ciò che a Larderello e nelle aree geotermiche era stato costruito e riducendo quasi a zero quegli oltre 126 MW di potenza installata.

Quasi, dicevamo, perché esisteva ancora una piccola speranza rimasta, un piccolo gruppo pilota a scarico libero della potenza di 23 kW che, installato a fini didattici nella Scuola Tecnica di Larderello, era scampato alla furia distruttiva delle truppe tedesche.

E fu proprio da questo piccolo gruppo che si poté procedere ad una ripartenza, attraverso la rielettrificazione dei primi impianti e alla ricostruzione in tempi, tutto sommato, brevissimi.

Già alla fine del 1945, infatti, dopo la rilevazione delle quote della Società Larderello da parte delle Ferrovie dello Stato, la potenza installata ammontava a circa 23 MW, indice di un nuovo inizio.

Vista d’insieme della Centrale 3

Uno sviluppo destinato a non arrestarsi, tanto che solo 3 anni più tardi, nel 1948, la potenza elettrica installata raggiungeva quasi i 140 MW , e nel 1950, a soli 5 anni dalla fine del conflitto mondiale, a Larderello entrava in pieno regime quella che per lungo tempo sarà – con ben 120 MW di potenza installata – la centrale geotermoelettrica più grande del mondo: la Centrale 3.

Eppure, l’espansione delle attività della società, insieme alla volontà di dare un segno di discontinuità con il passato, rendevano sempre più necessario intervenire anche a livello urbanistico.

Se infatti il vecchio villaggio operaio era sorto come naturale corollario intorno alla Fabbrica dalla quale traeva sostentamento e protezione, quasi su un ideale parallelismo con il borgo medioevale in cui tutte le abitazioni si sviluppavano proprio a partire dal centro nevralgico feudale (il palazzo del signore locale o, alternativamente, la chiesa), il mutato contesto sociale e storico imponeva un abbandono di un paternalismo troppo esibito, a favore di un maggior respiro negli spazi urbanistici e di una maggior cura anche degli spazi e dei tempi extralavorativi.

Giovanni Michelucci al lavoro

Ecco così che a fine 1954 la Larderello SpA affidò ad un team di architetti capeggiati da Giovanni Michelucci(*) (una vera e propria archistar dell’epoca) l’incarico di ripensare il nuovo villaggio operaio e la fabbrica secondo canoni nuovi e moderni.

Il nuovo assetto urbanistico di Larderello sarà, a detta di alcuni, uno dei suoi capolavori.

Il “nuovo” Larderello

Le nuove abitazioni, pur conservando un legame di stretta vicinanza e familiarità con la fabbrica vera e propria, con gli stabilimenti industriali, non ne sono, infatti, succubi, dipendenti, ma anzi quel legame è a tratti celato dalla persistenza del verde, che interrompe la continuità edile.

Al centro dell’abitato, a sottolineare una continuità storica, ancora una volta, la Chiesa (ultimata nel 1959), dedicata ancora una volta alla Madonna di Montenero, (l’altra, dedicata a Maria Santissima di Montenero è quella interna allo Stabilimento, fatta costruire dai De Larderel a partire dal 1852 e consacrata al culto nel 1856).

La Chiesa parrocchiale della Beata Maria Vergine a Larderello, progettata da Giovanni Michelucci

Un edificio, quello di MIchelucci, che si distingue per canoni architettonici nuovi, che sfuggono agli stilemi classici e cruciformi, per abbracciare una percezione più simbolica, la cui interpretazione è lasciata, spesso, alla fantasia e alla sensibilità dell’osservatore, diluendosi in un astrattismo che fa confluire l’architettura nell’arte.

Così, è facile trovare nel sapiente gioco delle volumetrie in quella di Larderello una barca rovesciata, dall’esterno, in cui il campanile è il timone, che riprende i temi cari alla prima cristianità (il pesce, i pescatori di uomini, la Chiesa come traghetto e ponte tra il Cielo e la Terra).

L’interno della Chiesa della Beata Maria Vergine a Larderello.

Ma anche il richiamo ad una classicità, seppure non chiassosa, nello spoglio frontone triangolare sostenuto da due colonne su cui sovrasta una croce  d’acciaio, a simboleggiare una ideale continuità con i templi di ispirazione greco-romana.

O ancora, il piccolo promontorio a fianco del sagrato, su cui svetta un’altra croce – anch’essa d’acciaio – forse a richiamare il Golgota della Crocifissione.

Ma è all’interno in cui le forme architettoniche conferiscono maggiormente un senso di comunità, di abbraccio collettivo, di unità, di – questa la sensazione – appartenenza comune.

La Cappella dei Lagoni del Sasso Pisano

O ancora, la Cappella dei Lagoni di Sasso Pisano, la cui forma ricorda – seppur per linee squadrate e non curvilinee – il movimento a vela della Chiesa di San Giovanni Battista, o dell’Autostrada, ma che se ne discosta per originalità. (Vedi anche “I Luoghi della Fede“, Regione Toscana)

Lo stesso Michelucci, infatti, ebbe a dire commentando(*) il lavoro svolto, che “(…) questa esperienza però ha contribuito a farmi riconsiderare i principi cui avevo tenuto fede delineandolo, e, ciò che più conta a farmi “vivere” l’ambiente fino a sentirmi uno della comunità (…)“.

Nel giro di un quinquennio dall’affidamento del progetto il volto di Larderello era completamente mutato, ancora una volta all’avanguardia in termini di rapporto uomo-fabbrica: palestra, cinema-teatro, tiro al piattello, campi da tennis e da bocce, minigolf, solo per citare alcune delle strutture che – oltre alle abitazioni – emergevano ora, discrete, dalle colline attraversate dall’argenteo dedalo dei vapordotti, rendendo – a tratti – il tutto più simile ad un resort turistico più che ad un “villaggio operaio”.

Ormai Larderello era una realtà di primo piano nel campo geotermico (agli inizi degli anni ‘60 la produzione geotermoelettrica superava i 2 TWh), tanto da essere considerato un punto di riferimento mondiale nel campo della ricerca ed esplorazione geotermica.

Una sonda geotermica del bacino di The Geysers, negli Stati Uniti, nel 1977. © immagine:USGS – United States Geological Survey

Nel resto del mondo, si era agli esordi dello sfruttamento geotermoelettrico (basti pensare che fu solo in questo periodo che i primi gruppi di produzione geotermici di una certa rilevanza entrarono in funzione negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda per potenze, rispettivamente, di 11 MW e 70 MW, mentre nelle aree geotermiche toscane si superavano già i 300 MW).

Nel 1962, tuttavia, doveva concludersi un’era nella storia di Larderello e, di conseguenza, nella geotermia italiana.

Il logo di ENEL nel 1963

Nel dicembre di quell’anno, infatti, il Governo Fanfani IV legiferò sulla nazionalizzazione dell’industria elettrica italiana: nacque così ENEL, Ente Nazionale per l’Energia Elettrica cui vennero attribuiti in via esclusiva i diritti di sfruttamento sui campi geotermici toscani.

Stesso destino toccò alle attività chimiche della Larderello SpA che, solo qualche anno dopo, nel 1966, passarono a ENI che costituì la Società Chimica Larderello.

Nel frattempo, nel resto del mondo, la geotermia – complici le ricorrenti crisi energetiche che, a partire da quella del 1973 causata dal conflitto dello Yom Kippur, ciclicamente si presentavano a causa della crescente instabilità del contesto mediorientale – stava diventando argomento di crescente interesse per i Paesi che si trovavano a disporre delle condizioni morfologicamente compatibili con il suo sfruttamento.

Tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, Enel iniziò le prime sperimentazioni sulla reiniezione in pozzo che ne verificò – se adeguatamente coltivata – la rinnovabilità in tempi umani e non geologici, come invece accadeva per i combustibili fossili.

E proprio il rinnovato interesse per gli utilizzi del fluido geotermico portò, nel 1979, alla costruzione probabilmente del primo teleriscaldamento geotermico moderno al mondo, quello di Castelnuovo Val di Cecina, ancora attivo, seppure aggiornato con le nuove tecnologie per renderlo maggiormente efficiente e capillare.

Nel 1986, vide l’approvazione, da parte del Governo Craxi II, della L.896 sulla “Disciplina della ricerca e della coltivazione delle risorse geotermiche” che costituì la base su cui si sarebbe costruito lo sviluppo delle aree  geotermiche e tutta la successiva normativa riguardante la geotermia.

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