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Il cambiamento climatico sta rendendo il nostro cibo meno nutriente

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Centinaia di milioni di persone a rischio carenza proteine, ferro, zinco. Harvard: «Non possiamo distruggere la maggior parte delle condizioni biofisiche a cui ci siamo adattati evolutivamente per milioni di anni senza subire impatti imprevisti sulla nostra salute e sul nostro benessere»

Fonte: greenreport.it

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Generalmente, gli esseri umani tendono a ricevere la maggior parte dei nutrienti chiave necessari al buon funzionamento del proprio organismo dalle piante: il 63% delle proteine ​​alimentari proviene da fonti vegetali, oltre all’81% del ferro e al 68% dello zinco. Ma l’aumento delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo sta rendendo le colture di base – come riso e grano – meno nutrienti, tanto da minacciare la nostra stessa sicurezza alimentare.

La ricerca The risk of increased atmospheric CO2 on human nutritional adequacy, pubblicata ieri su Nature Climate Change e coordinata dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health, ha analizzato le colture di 151 paesi; stimando gli impatti dei cambiamenti climatici su 225 alimenti diversi, mostra che tra poco più di 30 anni la crescita di CO2 in atmosfera potrebbe portare 122 milioni di persone a soffrire di carenza di proteine, mentre 175 milioni di persone saranno colpite da carenza di zinco e al contempo 1,4 miliardi di donne in età fertile e bambini sotto i 5 anni di età potrebbero perdere una grande quantità del loro apporto di ferro alimentare, ponendoli a nuovi rischi di anemia e altre malattie.

Attualmente, più di 2 miliardi di persone in tutto il mondo sono carenti in uno o più nutrienti, ed è  stato dimostrato che alti livelli di CO2 nell’atmosfera portano a rese meno nutrienti nelle colture di base, con concentrazioni di proteine, ferro e zinco inferiori del 3% -17% per le piante cresciute in ambienti in cui le concentrazioni di CO2 sono di 550 parti per milione (ppm) rispetto a quelle coltivate nelle condizioni atmosferiche attuali, in cui i livelli di CO2 sono di poco superiori a 400 ppm. Come spesso accade, ad acuire il paradosso è che i più poveri del mondo, che generalmente hanno le impronte di carbonio più piccole, probabilmente sperimenteranno la maggior parte degli effetti negativi del cambiamento climatici sull’alimentazione: secondo lo studio pubblicato su Nature, l’India dovrà sopportare il peso maggiore, ma anche altri paesi dell’Asia meridionale, del Sud-Est asiatico, dell’Africa e del Medio Oriente subirebbero impatti significativi. Un altro esempio dunque di come i cambiamenti climatici influenzino le condizioni di vita nei paesi più poveri, e dunque anche le migrazioni dei loro abitanti.

«La nostra ricerca – spiega il principale autore dello studio, Sam Myers – chiarisce che le decisioni che prendiamo ogni giorno (come riscaldiamo le nostre case, ciò che mangiamo, come ci muoviamo, ciò che scegliamo di acquistare) stanno rendendo il nostro cibo meno nutriente e mettendo a repentaglio la salute di altre popolazioni e il futuro generazioni». Ognuno di noi, con i propri consumi e impatti ambientali, ha un ruolo nel cambiamento climatico in atto, ma la soluzione a un problema globale è possibile da ricercare solo a livello globale: da questo punto di vista anche e soprattutto il nostro voto e le indicazioni politiche della collettività sono determinanti.

Questa ricerca illustra «un principio fondamentale nel campo emergente della salute planetaria – conclude Myers – Non possiamo distruggere la maggior parte delle condizioni biofisiche a cui ci siamo adattati evolutivamente per milioni di anni senza subire impatti imprevisti sulla nostra salute e sul nostro benessere».