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Geotermia, Sviluppo, Ricerca: Quali impianti per coltivare quale geotermia?

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Dal docente dell’Università degli Studi di Firenze, Daniele Fiaschi, un’analisi degli impianti a ciclo diretto e binario nel contesto toscano

Fonte: GeotermiaNews

Autore: Redazione

Esistono diversi tipi d’impianti industriali per imbrigliare l’energia geotermica naturalmente presente in un determinato sito per produrre energia elettrica rinnovabile. In linea generale gli impianti commerciali si suddividono in ciclo diretto (come nel caso degli impianti a contropressione, a condensazione, a flash singolo o doppio), binario (Organic Rankine Cycle, Kalina Cycle) e ibridi (dove la geotermia si combina con altre fonti energetiche, come quella solare o da biomasse); la scelta dipende da un complesso insieme di condizioni, che vanno dalle caratteristiche del fluido geotermico a quelle dei gas incondensabili in esso contenuti, dalle caratteristiche geologiche del sito, alla valutazione economica del progetto.

Come spiega Daniele Fiaschi, docente di Energie Rinnovabili e Sistemi Energetici dell’Università degli Studi di Firenze, interpellato in proposito da ARPAT-Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, l’utilizzo del fluido geotermico direttamente “in macchina” è quello termodinamicamente più conveniente; consente di spremere al massimo la risorsa, ottenendo rendimenti più alti in relazione alle condizioni operative e al suo “valore energetico”».

D’altro canto questo tipo d’impianti, come quelli attualmente attivi Toscana, non esclude l’emissione in atmosfera di alcuni dei gas di origine naturale che si formano a seguito di reazioni che avvengono nel sottosuolo e che, anche in assenza di un utilizzo industriale dei fluidi, darebbero luogo a emanazioni spontanee dal terreno (tipicamente di tipo diffuso).

Per questo tutti gli impianti Enel Green Power attivi in Toscana sono dotati di abbattitori AMIS (Abbattimento Mercurio Idrogeno Solforato), soggetti a monitoraggio continuo – oltre che da parte della stessa EGP – da parte di ARPAT e hanno un’efficienza nella riduzione delle emissioni dalle centrali di acido solfidrico e mercurio nell’ordine del 90-95%, e questo nonostante i geofluidi toscani siano «più difficili di molti altri in giro per il mondo, a causa del contenuto sensibilmente più alto di gas incondensabili (NCG)».

Pur nella consapevolezza «che non esistono attività umane, e lo sfruttamento energetico anche di risorse rinnovabili non fa eccezione, ad impatto ambientale completamente nullo», rispetto alle preoccupazioni che esprimono i vari comitati di cittadini verso tali impianti, Fiaschi osserva che «un’opera di sensibilizzazione e prima ancora di informazione mirata ed efficace, attraverso eventi pubblici e media con adeguato controllo sulla validità delle informazioni prodotte e divulgate, che mostrasse in termini semplici, ma coi reali dati espressi in maniera chiara le effettive emissioni degli impianti e i loro impatti rispetto alla naturale situazione ambientale, potrebbe alleviare molto le tensioni, spesso causate da non conoscenza (o, peggio, da una conoscenza o interpretazione sbagliata) dei dati e del loro impatto».

Riferendosi invece agli impianti di tipo binario, il docente spiega come «il geofluido “non evolve in macchina”, ma cede semplicemente calore ad un secondo fluido (organico) che lavora in ciclo chiuso nell’impianto termoelettrico, operando da caldaia. Dopodiché, una volta raffreddato, il fluido geotermico viene reiniettato nel sottosuolo, non entrando mai in contatto con l’ambiente. Proprio questa mancanza di contatto con i componenti dell’impianto termoelettrico rappresenta la croce e la delizia della tecnologia binaria: croce perché termodinamicamente questo non contatto tra geofluido e impianto riduce le prestazioni termodinamiche; delizia perché questa mancanza totale di contatto ne evita la fuoriuscita nell’ambiente. Il prezzo da pagare è però un minore rendimento degli impianti ed un maggior costo di produzione».

Un impianto di questo tipo – ovvero binario a totale reiniezione – è quello che potrebbe prossimamente vedere la luce a Castelnuovo Val di Cecina, secondo il progetto recentemente avanzato da Graziella Green Power, ENGIE Italia e Storenergy.

Si tratta di un impianto che andrebbe a coltivare un campo geotermico a vapore dominante, tipico dell’area di Larderello (e non dell’Amiata, ad acqua dominante), e rappresenta una via che Fiaschi ritiene praticabile nel contesto toscano: «Il progetto di Castelnuovo, se dimostrerà la sua efficacia – aggiunge il docente – potrà fare da apripista ad una nuova era geotermica».

Questo senza dimenticare «qual è il prezzo in termini di prestazioni termoelettriche dell’ipotetico uso di un ciclo binario rispetto ad un impianto a flash o comunque che usa il fluido geotermico "in macchina"».

Uno «screditamento delle prestazioni di soluzioni binarie rispetto a quelle "tradizionali"» è infatti «uno dei prezzi da pagare se si vuole PROVARE a praticare una certa via, ovvero quella della reiniezione totale».