La bolletta energetica degli italiani è la più cara d’Europa, ha detto il nuovo presidente dell’Authority, Guido Bortoni, nella sua prima relazione in Parlamento., Ma anche la bolletta energetica che l’Italia paga ai suoi fornitori esteri svetta in cima alle classifiche. Negli ultimi 12 mesi è arrivata a 76 miliardi, in crescita del 39% rispetto ai 12 mesi precedenti: una cifra equivalente a quasi 5 punti di Pil, pari all’intero costo annuale del servizio del debito, ai livelli attuali.
Caro import
È la cavalcata dei prezzi delle materie prime che spinge verso l’alto questa cifra. Se analizziamo la composizione delle importazioni, risulta evidente che la crescita dell’ import è quasi completamente determinata dall’incremento dei prezzi: negli ultimi dodici mesi i va10ri medi unitari sono saliti del 29,2% e i volumi importati di un modesto 1,5%. Nella pratica, la bolletta energetica pagata dall’Italia ai suoi fornitori esteri è cresciuta di 238 euro per abitante negli ultimi 12 mesi, arrivando a pesare per 960 euro su ogni cittadino. E non è finita qui. «il 2011 porterà, con molta probabilità, allo sfondamento di quota mille euro per abitante», precisa Enrico Quintavalle, responsabile dell’ufficio studi di Confartigianato.
Il costo altissimo della bolletta energetica e la sua estrema volatilità, strettamente connessa con le quotazioni petrolifere, è uno dei grandi problemi strutturali dell’Italia: la causa va ricercata nel grave squilibrio del nostro sistema elettrico a favore del gas, una materia prima ancora molto legata al caro-greggio.
Da decenni ormai in Italia si costruiscono quasi solo centrali a gas. Di conseguenza, il 52% della nostra energia elettrica è prodotto bruciando metano, contro il 5% della Francia, il 13% della Germania e il 23% dell’Ue a 27. Ma in Italia c’è pochissimo gas da estrarre. Questo si riflette nell’alto grado di dipendenza dall’import dell’intero sistema energetico, con un valore prossimo all’85%.
Triste record
È il livello più alto fra i Paesi industrializzati, con ricadute sia sui prezzi interni che sulla sicurezza di approvvigionamento. E risente della quasi totale inefficacia delle politiche volte a ridurlo. «A differenza degli altri Paesi industrializzati, dove le politiche avviate immediatamente dopo le crisi petrolifere degli anni ’70 portarono a riduzioni della dipendenza, soprattutto grazie al nucleare, in Italia invece si è addirittura assistito a un leggero aumento.
Grazie alle politiche di risparmio energetico e con il maggiore ruolo delle rinnovabili è possibile ipotizzare, nella migliore delle condizioni, una riduzione degli attuali livelli verso l’81% di dipendenza nel 2030, livello che resterà però sempre il più alto fra i Paesi industrializzati», spiega Davide Tabarelli di Nomisma Energia.
Per i prezzi interni dell’energia, quindi, non ci sono grandi calmieri in vista. E l’aumento dei consumi è destinato a spingerli verso l’alto.
Con i primi caldi e i condizionatori a manetta, l’energia venduta in Borsa elettrica ha superato, di media, i 73 euro a megawattora nella prima settimana di luglio: 26 euro più della Francia, che pure in questo periodo soffre della crisi del nucleare in Germania e viaggia su medie maggiorate del 10% rispetto al solito. In prospettiva, le previsioni di Nomisma Energia parlano di un aumento dei prezzi di Borsa che sfiora il 40% da qui al 2030, fino a una media di oltre 100euro a megawattora. Per le imprese e le famiglie questo si tradurrà in tariffe di oltre 200 euro a megawattora, contro i 150 di oggi, aggiungendo il trasporto dell’energia, le imposte e gli oneri di sistema.
Vere liberalizzazioni
«Una vera Iiberalizzazione del mercato del gas sarebbe lo strumento migliore per contrastare i prezzi alti dell’ elettricità»’ conferma Tabarelli. Ma bisognerebbe scorporare la rete Snam dall’Eni e introdurre maggiore flessibilità nelle forniture. Per ora, il nostro gas arriva quasi tutto attraverso quattro tubi, dal Mare del Nord, dalla Russia, dall’ Algeria e dalla Libia: basta che ne venga a mancare uno, come sta succedendo oggi con il blocco del gasdotto libico Greenstream, per far vacillare l’equilibrio del sistema. I dieci impianti di rigassificazione, in progetto da anni, avanzano a passo di lumaca. Per di più, rischiamo sempre di rimanere al buio, come nella crisi del gas del 2006 fra Russia e Ucraina. Oggi ride Alexei Miller: nel primo trimestre 2011 le forniture di gas russo all’Italia sono aumentate del 44%, a 4,78 miliardi di metri cubi, contro i 3,3 dell’anno scorso. Ma domani, se Mosca avesse di nuovo da ridire con Kiev, potremmo piangere noi.