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Italia Germania: nemmeno il pareggio

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Il lancio della giornata mondiale dell’eolico (che sarà il prossimo 15 giugno) organizzata in Italia da Anev (associazione nazionale energia dal vento) è stato l’occasione per presentare il quadro delle rinnovabili nel nostro Paese.

Fonte: Rinnovabili & Territorio

Autore: Redazione

La Germania ha deciso di chiudere con l’energia nucleare e lo farà chiudendo a mano a mano le centrali che arrivano a fine attività e avviando un percorso di sviluppo di energie rinnovabili: in particolare il piano presentato dal Ministero dell’Ambiente prevede di sostituire la quota di energia elettrica nucleare con energia eolica prodotta in impianti off shore.

Per l’eolico in Italia invece il 2011 è l’anno dello stop, almeno per ora.

Nella corsa verso le fonti rinnovabili il nostro Paese aveva guadagnato diverse posizioni con uno slancio notevole; ma il nuovo provvedimento del Governo, con il decreto Romani, ha però interrotto questo trend.

Se il decreto da un lato ha posto fine a mesi d’incertezza, (incertezza che per altro era già stata risolta con la promulgazione del terzo conto energia per il fotovoltaico) dall’altro secondo Ernst&Young ci si aspetta che rallenti notevolmente il numero di nuove installazioni in Italia nei prossimi anni. Per questo l’Italia ha perso due posizioni (dalla terza alla quinta) nell’indice di Ernst&Young che ha presentato il suo studio trimestrale Renewable Energy Country Attractiveness Indices.

Una situazione che purtroppo appare in linea con quella descritta da Anev, l’associazione dei produttori eolici italiani.

In occasione della giornata del vento -promossa dall’Ewea, l’associazione europea dell’energia eolica e dal Global Wind Energy Council- Anev che è il partner dell’evento ha, infatti, diffuso i dati sulla produzione eolica in Italia, che non sono per nulla incoraggianti.

«Da un anno siamo quasi al blocco» ha dichiarato Simone Togni, direttore di Anev. 

Nel 2010 la crescita dell’eolico —che procedeva installazioni a un ritmo in linea con quello dei paesi guida— è diminuita di un quarto scendendo sotto i 1.000 megawatt di nuovi impianti.

Una brusca frenata che è diventata ancora più netta nei primi 5 mesi del 2011 che hanno visto la realizzazione di soli 286 Megawatt di potenza.

Il totale dei Megawatt eolici installati in Italia si è fermato così a quota 6.000, a fronte di un potenziale di 16 mila Megawatt e di un obiettivo minimo fissato dal governo a 14 mila per il 2020.

«E’ una situazione –ha continuato Togni- che mette a rischio sia i 20 mila posti di lavoro attuali sia i 67 mila previsti per il 2020. Un trend in clamoroso contrasto con quanto avviene negli Stati Uniti, in Cina e in buona parte dell’Europa, dove siamo stati scavalcati da Gran Bretagna e Francia».

In effetti, la Cina vola nella corsa alle rinnovabili e si riconferma leader –da quasi un anno- nella classifica a scala planetaria.

Nel corso poi dell’ultimo quadrimestre la Cina ha fatto registrare i migliori risultati di sempre soprattutto grazie ad un maggior sostegno profuso per lo sviluppo di progetti di energia eolica offshore in acque basse e grazie alla pubblicazione di un piano di sviluppo quinquennale senza precedenti, che prevede per il 2015 un target dell’11,3% per l’energia primaria generata da combustibili non fossili.

La Cina vola, la Germania si prepara a spiccare il salto e l’Italia resta al palo.

«E’ difficile immaginare una ripresa prima di settembre -secondo Francesco Ferrante, vicedirettore del Kyoto Club- perché solo a settembre verranno finalmente emanati i decreti attuativi previsti dal decreto Romani del 3 marzo che ha bloccato il settore. A quel punto si capirà come funziona il nuovo meccanismo basato sulle aste al ribasso, si definirà il prezzo minimo sotto il quale non si potrà scendere e, solo allora, le aziende potranno tornare in banca per ottenere il credito necessario a far partire i cantieri».

In effetti il settore delle rinnovabili ha dimostrato di possedere una grande vitalità e una volta definite le regole potrebbe riprendere in maniera assai rapida, anche se non è da sottovalutare il fatto che il blocco di questi mesi ha determinato un rallentamento generale e un indebolimento delle imprese, che potrebbe mettere seriamente a rischio la capacità di competitività del sistema.