Venti miliardi di euro tra il 2009 e il 2010, quasi 5 miliardi per l’anno in corso, altri 120 da qui al 2020. Nelle settimane scorse di cifre su quanto costa agli italiani finanziare l’energia verde ne sono state date tante, spesso con una certa approssimazione e malizia, scatenando proteste e contestazioni da parte di ambientalisti e imprese del settore. Nessuno ha però mai cercato di guardare le cose da un altro punto di vista, calcolando quanto fa incassare all’erario puntare sulle fonti pulite. A farlo ci ha pensato uno studio del Politecnico di Milano, portando alla luce una realtà molto diversa dall’immagine di spreco che vanno dipingendo i critici delle rinnovabili. Per ogni euro versato a sostegno del fotovoltaico, ben 65 centesimi rientrano infatti nelle casse dello Stato attraverso un ampio ventaglio di strumenti fiscali.
Il "Solar Energy Report", giunto alla sua terza edizione, offre quindi un quadro diverso e sicuramente molto più articolato da quello che viene solitamente associato alla produzione di energia pulita. Per quanto i dati abbiano una certa approssimazione dovuta alla difficoltà di valutazione, il dossier sul "sistema industriale italiano nel business dell’energia solare" ricostruisce il flusso di denaro messo in moto dalla politica di incentivazione.
Non si tratta tanto di ribadire come, a fronte delle cifre denigratorie circolate nei mesi scorsi sulla loro ampiezza, gli aiuti di Stato al fotovoltaico incidano in realtà sulle bollette degli utenti per un modesto 1,9% del totale (il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ha parlato recentemente del 20%), poco di più di quell’1,2% che gli italiani ancora pagano per garantire il decomissioning delle vecchie centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987. La vera novità contenuta in "Solar Energy Report" è il calcolo di quanta parte dei 280 milioni di euro erogati dallo Stato nel corso del 2009 per sostenere il fotovoltaico (anche in questo caso una somma ben inferiore a quelle diffuse sino ad oggi) è poi rientrata per altre vie nelle casse pubbliche.
«Chiaramente il giudizio sull’entità del valore assoluto delle incentivazioni non può che essere di natura prettamente politica», afferma lo studio, ma «va detto che a fronte delle sopraccitate uscite per lo Stato, il mercato fotovoltaico italiano genera annualmente delle entrate che nel 2009 erano state stimate in circa il 65% delle uscite totali». Il report elenca quindi tutti i percorsi a ritroso presi dal denaro: si va dalle imposte dirette Ires e Irap corrisposte dalle imprese, al pagamento dell’Ici da parte delle aziende che detengono gli impianti; dall’Iva al 10% sul valore aggiunto generato dalle imprese operanti nella filiera, alle mancate uscite per lo Stato dovute alla mancata emissione di tonnellate di anidride carbonica garantite dal fotovoltaico. «Di conseguenza — afferma la ricerca — il bilancio complessivo per le finanze del Paese è decisamente meno negativo di quanto possa sembrare da una semplice analisi dell’entità degli incentivi complessivi».
Un richiamo a valutare con maggiore attenzione il rapporto costi benefici che passa anche dalla ricostruzione dei vantaggi occupazionali messi in moto dalla diffusione delle rinnovabili. In questo caso lo studio rivede al ribasso le cifre diffuse dalle associazioni dei produttori sul numero di addetti al settore, ma introduce importanti elementi di valutazione sulla capacità delle imprese italiane di farsi strada in un mercato destinato ad essere sempre più strategico e con volumi di affari crescenti. «L’occupazione totale diretta nel fotovoltaico — si legge — ammonta secondo le nostre analisi a 18.500 dipendenti e sale sino a 45/55 mila se si considera anche l’indotto». Numeri come detto inferiori agli oltre 100 mila occupati accreditati dalle associazioni di categoria, ma che, sottolinea ancora il rapporto, fanno impressione se si pensa «che solo cinque anni fa il settore contava al massimo poche centinaia di addetti». Ma forse ancor più interessante è notare come nel 2010 «rispetto all’anno precedente la crescita, misurata nel numero di imprese, è stata pari a circa il 13%» ed è «soprattutto cresciuta la presenza italiana nelle varie fasi della filiera». Il risultato è che «nella produzione di celle e moduli le imprese italiane in numero rappresentano la quota di maggioranza relativa (43%) contro il 39% del 2009». Un crescita avvenuta «soprattutto a discapito delle aziende che utilizzavano il canale dell’export puro». Valutando anche la produzione degli inverter e associando le imprese italiane a quelle che hanno comunque la loro sede in Italia si arriva quindi a una percentuale del 72% che smonta l’altro luogo comune utilizzato dai detrattori delle rinnovabili per cui i soldi pagati dagli italiani attraverso gli incentivi finiscono per arricchire i soliti cinesi.
Non si tratta tanto di ribadire come, a fronte delle cifre denigratorie circolate nei mesi scorsi sulla loro ampiezza, gli aiuti di Stato al fotovoltaico incidano in realtà sulle bollette degli utenti per un modesto 1,9% del totale (il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ha parlato recentemente del 20%), poco di più di quell’1,2% che gli italiani ancora pagano per garantire il decomissioning delle vecchie centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987. La vera novità contenuta in "Solar Energy Report" è il calcolo di quanta parte dei 280 milioni di euro erogati dallo Stato nel corso del 2009 per sostenere il fotovoltaico (anche in questo caso una somma ben inferiore a quelle diffuse sino ad oggi) è poi rientrata per altre vie nelle casse pubbliche.
«Chiaramente il giudizio sull’entità del valore assoluto delle incentivazioni non può che essere di natura prettamente politica», afferma lo studio, ma «va detto che a fronte delle sopraccitate uscite per lo Stato, il mercato fotovoltaico italiano genera annualmente delle entrate che nel 2009 erano state stimate in circa il 65% delle uscite totali». Il report elenca quindi tutti i percorsi a ritroso presi dal denaro: si va dalle imposte dirette Ires e Irap corrisposte dalle imprese, al pagamento dell’Ici da parte delle aziende che detengono gli impianti; dall’Iva al 10% sul valore aggiunto generato dalle imprese operanti nella filiera, alle mancate uscite per lo Stato dovute alla mancata emissione di tonnellate di anidride carbonica garantite dal fotovoltaico. «Di conseguenza — afferma la ricerca — il bilancio complessivo per le finanze del Paese è decisamente meno negativo di quanto possa sembrare da una semplice analisi dell’entità degli incentivi complessivi».
Un richiamo a valutare con maggiore attenzione il rapporto costi benefici che passa anche dalla ricostruzione dei vantaggi occupazionali messi in moto dalla diffusione delle rinnovabili. In questo caso lo studio rivede al ribasso le cifre diffuse dalle associazioni dei produttori sul numero di addetti al settore, ma introduce importanti elementi di valutazione sulla capacità delle imprese italiane di farsi strada in un mercato destinato ad essere sempre più strategico e con volumi di affari crescenti. «L’occupazione totale diretta nel fotovoltaico — si legge — ammonta secondo le nostre analisi a 18.500 dipendenti e sale sino a 45/55 mila se si considera anche l’indotto». Numeri come detto inferiori agli oltre 100 mila occupati accreditati dalle associazioni di categoria, ma che, sottolinea ancora il rapporto, fanno impressione se si pensa «che solo cinque anni fa il settore contava al massimo poche centinaia di addetti». Ma forse ancor più interessante è notare come nel 2010 «rispetto all’anno precedente la crescita, misurata nel numero di imprese, è stata pari a circa il 13%» ed è «soprattutto cresciuta la presenza italiana nelle varie fasi della filiera». Il risultato è che «nella produzione di celle e moduli le imprese italiane in numero rappresentano la quota di maggioranza relativa (43%) contro il 39% del 2009». Un crescita avvenuta «soprattutto a discapito delle aziende che utilizzavano il canale dell’export puro». Valutando anche la produzione degli inverter e associando le imprese italiane a quelle che hanno comunque la loro sede in Italia si arriva quindi a una percentuale del 72% che smonta l’altro luogo comune utilizzato dai detrattori delle rinnovabili per cui i soldi pagati dagli italiani attraverso gli incentivi finiscono per arricchire i soliti cinesi.
Davanti a questo quadro il "Solar Energy Report" esprime quindi tutte le sue preoccupazioni per il decreto Romani dello scorso marzo. «Tale provvedimento — si legge nel documento — ha avuto l’effetto di causare uno stallo immediato del mercato fotovoltaico italiano lasciando in uno stato di grande incertezza gli operatori del settore». «L’industria italiana del solare è già abbastanza solida e radicata per sopportare anche tagli di una certa entità agli incentivi, quello che rischia di stroncarla è invece il prolungarsi di una situazione di stallo», commenta il professore Vittorio Chiesa, docente del Politecnico di Milano e coordinatore della ricerca. «Imporre tetti che danno agli investitori orizzonti temporali limitati sarebbe molto negativo — avverte — e finirebbe per tradursi nello stesso errore fatto in Spagna dove dopo il boom a fronte di un limite annuo di 500 MW incentivabili ci si è fermati sotto quota 100 perché è ovvio che nessuno vuole correre il rischio di installare il 501esimo MW».