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Geotermia, il calore che viene dal mare

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L’Italia, dal punto di vista dell’energia, potrebbe essere la prossima Arabia Saudita, ma al posto di giacimenti d’oro nero quelli di una fonte pulita, inesauribile e ad alta resa: le geotermia.

Fonte: La Repubblica – Affari & Finanza

Autore: Patrizia Feletig

Così promettono i fondali del Tirreno Meridionale, zona ad alta densità di vulcani sommersi che sono enormi sorgenti di calore, dove si trova uno dei più importanti campi geotermici. Non è solo una benvenuta ricchezza energetica ma rappresenta anche una sfida tecnologica che porterebbe all’Italia il primato mondiale nella valorizzazione della geotermia sottomarina. Il nostro paese è già uno dei primi al mondo per produzione geotermica, con una capacità installata che dopo gli ultimissimi ampliamenti arriva a sfiorare gli 840 Megawatt tra Lardarello e monte Amiata (790 nel 2010).

La geotermia è una dote che ci portiamo dietro da oltre cento anni. Siamo tra i 26 paesi che ricorrono a questa fonte, e come si diceva uno dei maggiori produttori. ma ora c’è molto di più. Finora si reputava che le potenzialità di questa fonte fossero giunte a saturazione con gli impianti di Lardarello e del Monte Amiata che sono arrivati a coprire l’1,5% del fabbisogno elettrico nazionale. L’apporto raddoppierebbe con la realizzazione del progetto Marsili, che prende nome dal più grande vulcano d’Europa, sommerso nel mar Tirreno a 80 chilometri a nord delle Eolie. Il Monte Marsili s’innalza per 3000 metri ma la sua cima rimane per mezzo chilometro sotto il pelo dell’acqua. Il massiccio si estende per 50 chilometri con un diametro di 20. Il vulcano non è più attivo ma sulla cima si contano numerosi coni formati dalle passate eruzioni e ostruiti da depositi e sedimenti impermeabili.

Il Monte Marsili è un sistema aperto in contatto continuo con l’ambiente marino. Infatti, sott’acqua le eruzioni di lava che in migliaia di anni hanno formato l’edificio vulcanico hanno subito un repentino raffreddamento che ha favorito la formazione di fratture nella struttura attraverso le quali s’infiltra acqua marina. Similmente a una pentola a pressione, l’acqua incontrando il magma si surriscalda fino a superare i 300 gradi e risale vaporizzandosi attraverso le fessure nella roccia. L’idea di sfruttare il potenziale termico di questa immensa caldaia sottomarina nasce da un’intuizione del professor Patrizio Signanini dell’Università di Chieti che trova un interlocutore nel mondo industriale. La Eurobuilding, una media società marchigiana che non appartiene al Gotha dei colossi delle trivellazioni off shore ma ha consolidato una competenza nell’ambito marino con lo sfruttamento di "inerti" sommersi, in pratica banchi di sabbia risalenti all’ultima glaciazione, per il rifacimento di coste erose.

Fin dal 2005, la Eurobuilding ha costituito un gruppo di ricerca con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, l’Istituto per la Geologia Marina del CnrIsmar, il Centro di Ricerche sperimentali per le geotecnologie dell’Università di Chieti e il Politecnico di Bari. L’azienda insieme con i suoi partner pubblici finanzia uno studio pluriennale e multidisciplinare per raccogliere evidenze sulla presenza di centinaia di milioni di metri cubi di fluidi geotermici con "ricarica" continua e per localizzare i reservoir di fluidi ad alta entalpia. Questa "radiografia" del monte Marsili è compiuta attraverso rilievi batimetrici, misurazioni magnetiche, sismiche, gravimetriche, campionamenti di rocce e sedimenti con l’appoggio della strumentazione della nave oceanografica Universitatis.

Dalla fase esplorativa si passa ora a quella della fattibilità. Nel 2009 la società ottiene dal ministero per lo Sviluppo Economico un permesso di ricerca esclusivo per la prospezione nell’area Marsili, sempre che arrivi il via libera delle indagini ambientali sulle quali peraltro non sembrano esserci problemi. Entro il 2013 la Eurobuilding conta di iniziare la trivellazione del pozzo pilota a circa 800 metri di profondità per toccare l’interno del vulcano fino a 2 chilometri. «Si riadattano le tecnologie estrattive petrolifere alla geotermia con la sicurezza che anche in caso di eventuali fuoriuscite, si tratterebbe di acqua marina senza conseguenze per l’ecosistema», spiega Diego Paltrinieri, geologo prestato a questa avventura industriale e direttore del progetto.
Una volta captata, l’acqua a 300° che ha subito durante la risalita all’interno del vulcano il passaggio di fase (la trasformazione da liquido a vapore) è convogliata nella tubatura, quindi spinge le turbine che alimentano generatori di 200 Megawatt di potenza, il tutto collocato su una piattaforma galleggiante. Nel progetto le unità produttive diventano 4 per una produzione di 4,4 TWh, sette volte l’output fotovoltaico italiano. Il costo, comprensivo di installazione, generazione e trasporto dell’elettricità con elettrodotto sottomarino ad alta tensione, dovrebbe aggirarsi sui 2 miliardi di euro, ai quali si aggiungono i costi esplorativi di perforazione di 26 milioni di euro. Un costo al chilowattora comunque competitivo tra le fonti rinnovabili: a metà strada tra quello eolico e quello da biomasse, e dimezzato rispetto al fotovoltaico con il vantaggio che la geotermia non sconta l’intermittenza tipica del solare, come prova il fatto che si è guadagnato l’interesse di scienziati come Carlo Rubbia e perfino degli ambientalisti. Anche l’attenzione di investitori esteri è puntata sulla scommessa del Marsili avamposto di un potenziale sfruttamento estensivo della fascia vulcanica sommersa al largo delle coste siciliane, calabresi e campane che spingerebbe la geotermia al 57% del mix elettrico nazionale: diventerebbe la prima fonte rinnovabile dopo l’idroelettrico.