«Si tratta di oltre 41 miliardi di euro di sussidi, circa il 2,5% del Pil nazionale, di cui 9 Mld€ classificati come incerti o neutri, mentre i 32 Mld€ rimanenti si dividono circa a metà», tra sussidi ambientalmente favorevoli (Saf) e sussidi ambientalmente dannosi (Sad). Per l’esattezza questi ultimi sono i maggiori: 16,1 contro 15,7 miliardi di euro. In altre parole, lo Stato sostiene le attività dannose per l’ambiente più di quanto non faccia con quelle pulite.
Analizzando i dati contenuti nel primo Catalogo dei sussidi ambientali attualmente presenti nel fisco italiano, anche la Fondazione per lo sviluppo sostenibile sintetizza il documento recentemente pubblicato dal ministero dell’Ambiente in un’amara constatazione: ogni anno le attività che danneggiano l’ambiente ottengono 400 milioni euro di risorse pubbliche in più rispetto a quelle che lo difendono. Di più: «Non sono, per ora, calcolate le esternalità negative (i sussidi impliciti), il cui importo è prevedibilmente molto superiore».
Dove sono diretti questi sussidi? «L’articolazione per settori sviluppata nel Catalogo mette anche in luce, come era prevedibile – notano dalla Fondazione – che i sussidi dannosi per l’ambiente, fuori dal campo delle agevolazioni dell’Iva, sono dovuti per il 90% al settore dell’energia». Stime non lontane da quelle già prodotte da Legambiente nell’ambito del monitoraggio sugli incentivi italiani alle fonti fossili.
Al contempo, si legge direttamente nel documento, una parte «importante dei sussidi dannosi sotto il profilo ambientale (Sad) fa riferimento all’ambito del regime di Iva agevolata al 4% e al 10%. L’agevolazione Iva, concessa a determinati beni e servizi per finalità generalmente non ambientali, riduce lo stimolo di prezzo a razionalizzare i consumi e utilizzare in maniera più efficiente tali beni e servizi da parte dei consumatori».
Una situazione ben diversa da quanto suggerirebbe un fisco verde: in un contesto più sostenibile l’agevolazione Iva (o un’altra forma di sostegno fiscale, come i crediti d’imposta) sosterrebbe la vendita di beni a minore impatto ambientale (ad esempio quelli prodotti con materiali riciclati, mentre in Italia ad essere incentivata è al contrario la termovalorizzazione). Peccato che di tutto questo, nell’acceso dibattito governativo sulla fiscalità italiana, non ci sia la benché minima traccia: l’ex premier Renzi giudica tabù un qualsivoglia incremento dell’Iva, mentre il ministro dell’Economia Padoan ipotizza di far scattare le clausole di salvaguardia da 19,5 miliardi di euro pur di destinare un uguale ammontare di risorse al taglio del cuneo fiscale (di investimenti, magari in green economy, non se ne parla).
Cancellare con un colpo di spugna i sussidi ambientalmente dannosi permetterebbe di ottenere uno spazio fiscale strutturale di almeno 16,1 miliardi di euro, eliminando alla radice il problema e garantendo nuove possibilità di sviluppo per un’economia più pulita. Ma la svolta verde, come sempre, può aspettare.