Home Cosvig Geotermia, Antartide: Da Viareggio all’Antartide a studiare il vulcano bianco

Geotermia, Antartide: Da Viareggio all’Antartide a studiare il vulcano bianco

443
0
CONDIVIDI
Paola Del Carlo per due mesi a capo di un progetto di ricerca sul monte Melbourne. «Si sa poco di quel cratere e cerchiamo di ricostruirne la storia delle eruzioni»

Fonte: Il Tirreno, Cronaca di Viareggio

Autore: Melania Carnevali

Camminare sopra il cratere di un vulcano bianco che sputa fumarole di ghiaccio e sentire solo il rumore degli scarponi che affondano nella neve. Toccare attraverso i guantoni quell’ammasso di neve senza sapere se e quando il monte erutterà. La natura selvaggia che ti inietta un’adrenalina di non cui ti liberi nemmeno quando torni alla vita normale, quando sai che il pericolo è passato. «Prendere il treno tutti i giorni, andare a Pisa, tornare a casa». Paola Del Carlo, ricercatrice viareggina dell’Ingv, è tornata da tre settimane da una spedizione in Antartide, dove è andata per studiare il vulcano Melbourne, e ha ancora addosso l’odore di quell’esperienza. «È estrema, mi manca. Spero di tornarci presto», racconta. Classe 1964, laureata a Pisa con una tesi in vulcanologia, subito dopo l’università è andata a vivere e a lavorare a Catania. Era sempre sull’Etna e sullo Stromboli a studiare quei vulcani pazzi. Nel 2006 è tornata in Toscana: vive a Viareggio e lavora a Pisa. Non avendo più un vulcano attivo sotto i piedi è andata a cercarseli in giro nel mondo. La prima spedizione in Antardide l’ha fatta nel 2007 con un progetto internazionale durante il quale è stata fatta una perforazione nel Mare di Ross per studiare le variazione climatiche nel passato. Hanno perforato il ghiaccio, l’acqua, e poi giù ancora di altri mille metri e 20milioni di anni per capire come cambia il clima. Il progetto è durato due mesi. Poi è tornata a casa. Lo scorso dicembre è ripartita. Due giorni di volo per arrivare in Nuova Zelanda, altri dieci di navigazione per arrivare a Baia Terra Nova, dove si trova la base italiana Mario Zucchelli. A 40 chilometri di distanza da lì, c’è il suo “bimbo”: il vulcano Melbourne, 2.700 metri di altezza, uno dei rari vulcani dell’Antartide, la cui ultima eruzione risale a 200 anni fa, ma di cui non si sa  praticamente nulla. Non ci sono notizie storiche sul suo comportamento eruttivo e quindi le indagini geologiche sono state fondamentali per ricostruirle. Paola ha fatto questo. Lo ha studiato da vicino con un progetto finanziato dal Pnra (progamma nazionale di ricerca in Antartide). È diventata responsabile scientifica del progetto («facente funzioni», spiega). Partiva ogni giorno dalla base con l’elicottero e atterrava sopra il cratere di ghiaccio. Con lei c’erano altri due ricercatori che si occupavano di installare stazioni per controllarne i movimenti sismici del vulcano. «Lo vedi ghiacciato, non fa paura come gli altri – racconta – Quel posto è magico. C’è un silenzio assoluto». Era l’unica ricercatrice donna nella base italiana. Non sempre riusciva a uscire per i suoi campionamenti. Le bufere di neve la obbligavano a stare alla base, chiusa nei container dove sono state ricavate le stanze. Il termometro fuori era fisso a meno quaranta gradi anche nei giorni di sole. Indossava sempre quelli che gli americani chiamano gli heavy clothes, vestiti termici che sembrano fagotti. E poi guanti, cappello, radiolina per rimanere in contatto con la base e via su sulla cima del monte. «La cosa strana – racconta -era quella di essere lì in mezzo al nulla, in un posto che impieghi giorni a raggiungere, e poi trovarsi a chiacchierare del più e del meno con le persone che stanno con te. Come fossi a casa, in un bar». In fondo, anche l’adrenalina diventa abitudine.