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Fotovoltaico, le promesse della plasmonica

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Più vantaggiose sul piano dei costi e della versatilità nelle applicazioni, le celle dye-sensitised, note anche come celle di Grätzel, devono ancora fare molta su quello dell’efficienza. Una mano in questo senso può arrivare dalla plasmonica, la disciplina che studia le interazioni tra luce e metallo

Fonte: zeroEmission

Autore: F.N.

Un gruppo di ricercatori dell’Università californiana di Stanford ha messo a punto una nuova tecnica per incrementare l’efficienza delle dye sensitized solar cells (letteralmente celle ‘a tinta sensibilizzata’), la tecnologia messa a punto dal chimico svizzero Michael Grätzel, una soluzione che presenta numerosi vantaggi rispetto al fv tradizionale al silicio, non solo per i costi di produzione inferiori, ma anche per la gamma molto più vasta di applicazioni che promette grazie all’utilizzo supporti flessibili e sottili (dall’edilizia, dove garantisce una perfetta integrazione architettonica su tutte le superfici utili, alle auto, ai trasporti, all’abbigliamento), ma che presenta un tasso di conversione della luce solare ancora troppo basso.

Un passo importante anche in questa direzione è stato compiuto da Michael McGehee, direttore del Centro per il fotovoltaico molecolare avanzato di Stanford, e i suoi colleghi, che sostengono di avere ottenuto incrementi di efficienza delle celle ‘dye sensitized’ fino al 20%. Merito, spiegano, del nuovo approccio utilizzato, basato sulla plasmonica, che studia le interazioni tra luce e metalli, estremamente promettente per le sue applicazioni in elettronica, chimica, biologia e informatica. Si tratta di una disciplina della fisica, che indaga il comportamento dei plasmoni, oscillazioni di elettroni su una superficie di metallo quando sono eccitati dalla luce. Questi ultimi possono essere ‘controllati’ attraverso la forma della superficie consentendo di ottimizzare il comportamento della luce sul metallo.

Gli scienziati di Stanford hanno difatti applicato alla cella dei riflettori plasmonici, fatti di un sottilissimo film sottile di argento, caratterizzato da un serie di dossi e rientranze, che assomiglia alla confezione delle uova: quando la luce colpisce la cella, lo strato di argento, grazie alla sua particolare conformazione, ne riflette i raggi a 90 gradi costringendoli a ‘saltellare’ sulla superficie della cella e dandole così più tempo per assorbire la luce. In questo modo, è possibile assorbire una quantità di luce dal 5 al 20% maggiore rispetto a una cella ‘dye sensitized’ normale.

Per ottenere questo risultato, gli studiosi hanno dunque lavorato sulla struttura della cella, composta da uno strato di semiconduttore, (in genere titanio) e un colorante (dye) racchiusi da due substrati di vetro conduttori (o anche metallo o polimerici) come in un sandwich. In particolare, sullo strato di titanio, impregnato del colorante, hanno impresso una nanostruttura di quarzo caratterizzata da rilievi e depressioni, creando lo ‘stampo’ all’interno del quale è stato versato l’argento.

La luce interagisce con i dossi creati nello strato di argento dando origine all’effetto plasmonico: i fotoni entrano nella cella, una parte viene assorbita dal pigmento fotosensibile creando una corrente elettrica, un’altra parte consistente viene riflessa dallo strato di argento e torna nella cella, altri provocano le onde plasmoniche, che incrementano ulteriormente l’efficienza delle celle. Il prossimo passo sarà dunque sviluppare strutture che garantiscano tassi di assorbimento della luce e dunque di conversione dell’energia solare ancora maggiori. 

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