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Governare l’immigrazione è questione di intelligenza e buon sentimento

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Così com’è crea qualche problema e occorrono miglioramenti, si ripete sul palco.

Fonte: Toscana-Notizie

Autore: Walter Fortini

La lunga giornata di "Mediterraneo Downtown", una maratona lunga otto ore (con appendice serale) per raccontare cosa è oggi quel mare che collega l’Europa all’Africa e al Medio Oriente, nei suoi limiti e ferite aperte ma anche opportunità, è terminata ieri a Prato parlando di migranti ed accoglienza.

Inevitabile. Gli sbarchi sono sotto gli occhi di tutti, sono le scene e i titoli che quotidianamente ci accompagnano alla televisione la sera e sui giornali ogni mattina. Ieri altre mille e quattrocento persone sono state salvate su sei barconi nel canale di Sicilia. E il primo errore è proprio quello, forse, di affrontare la questione solo come un’emergenza.  Così si è ripetuto più volte ieri a Prato.

Ci sono problemi, si dice. "Ce lo raccontano le barricate di Goro e Gorino contro i migranti nel nord Italia" accenna il sindaco di Prato Matteo Biffoni, che di questo si occupa all’Anci nazionale, l’associazione dei Comuni. "Ma i problemi si possono superare e la situazione migliorare" confida più ottimista l’assessore all’immigrazione della Toscana, Vittorio Bugli. "Certo sull’accoglienza dei migranti occorre mettere la testa oltre al buon sentimento. Dire "faccio solidarietà" non basta – spiega – E’ quello che abbiamo provato a fare come Regione, che pure tante competenze dirette neppure le abbiamo. E’ quello che hanno fatto molti sindaci, che con passione hanno provato a riempire i vuoti del sistema di accoglienza, e con loro le associazioni che animano i paesi e le città. Ma occorre andare oltre". Va forse rivista parte della governance. "Di certo è un fenomeno che va affrontato con il massimo della nostra intelligenza e non scansato –  sottolinea ancora l’assessore – E in questo modo può portare ricchezza e opportunità a tutti, anche a noi".

In fuga dalla guerra
La discussione era partita sul palco del Metastasio di Prato da un’intelligente provocazione di Massimo Cirri, storica voce di Caterpillar su Radio Rai2, pratese (anzi carmignanese) da parecchi anni trapiantato a Milano e moderatore dell’ultimo panel dell’edizione zero del festival atteso per il prossimo maggio, registi Cospe, Libera, Regione, Comune di Prato e Anci. Il ragionamento è pressapoco questo: fin quando ci saranno le guerre, le popolazioni inevitabilmente scapperanno e i popoli saranno in movimento. Un fenomeno strutturale, intimamente connesso alla psicologia umana. E dunque dobbiamo prendercela con i rifugiati o con il fatto di non riuscire a consolidare la pace? Alessandra Morelli, da venticinque anni nell’Unhcr (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati), per mesi alle porte d’Europa in Grecia con un milione di persone in arrivo da ogni dove, lei che presto ripartirà forse per lo Yemen e intanto gira festival e scuole, non ha dubbi: "dobbiamo prendercela con la nostra incapacità, chiaramente", ma anche con l’ignoranza che fa sopravvivere parecchi luoghi comuni. "Ci sono 65 milioni di rifugiati e sfollati nel mondo – dice – e non è vero che assediano l’Europa: la maggior parte è accolta in Africa. In ogni caso sono persone che scappano dalla guerra e dalla fame per correre verso la pace. E chi siamo noi per mettere un muro a questa ricerca e alla possibilità di reinventarsi un vita?". Esser profugo è una condizione (auspicabilmente temporanea), non uno status.

Quattro alternative ai barconi
Si torna al punto sollevato anche da Bugli: l’immigrazione non va combattuta, ma governata. Con una domanda che risuona sul palco e può apparire quasi banale ma è alla fine il cuore del problema:  trafficanti e scafisti offrono risposta ad una domanda, la mette giù dura il moderatore, ma possibile che  non ci sia un’alternativa alle loro fameliche mandibole e ai barconi che solcano il Mediterraneo?
Altre vie ci sono o ci potrebbero essere. Ci sono i progetti dei corridoi umanitari e l’esperienza unica in Europa di Mediterranean Hope messa in atto dalle chiese evangeliche e dalla comunità di Sant’Egidio, raccontata da Alberto Mallardo, arrivato da Lampedusa a Prato proprio per questo. Numeri per ora piccoli, un migliaio di persone l’anno, ma un punto di partenza per offrire a persone vulnerabili un ingresso legale. Ci sono le borse umanitarie e i ricongiungimenti familiari. La quarta via maestra sarebbe velocizzare l’esame delle richieste di asilo, che oggi si trascinano per uno o due anni. "Percorsi da costruire – sottolinea ancora l’assessore Bugli -, come quel piano in otto punti che abbiamo proposto al Governo come Regione Toscana e Anci, che parte dal modello di accoglienza diffusa che noi abbiamo messo in atto ma che contiene anche molto altro".

Contro la paura
Sul palco del festival di Prato si evoca anche la paura, quella che fa chiudere a volte le comunità a riccio ed altre volte è brandita nelle piazze. Tema inevitabile, anche questo.  "Il problema è che se i profughi rimangono una massa indistinta la gente non capisce – conclude Bugli – Se invece a questi ragazzi diamo un volto e un nome, li facciamo vivere a piccoli gruppi nei paesi e magari li facciamo partecipare alle attività delle comunità che le accolgono (e già in molti territori della Toscana si fa), se addirittura siamo in grado di farli diventare parte della rete di accoglienza o dare loro una progressiva autonomia, allora da profughi diventano persone. La diffidenza o paura si scioglie. E tutto cambia". Questione, insomma, di metterci anzitutto intelligenza. Dall’alto e dal basso. Con quella voglia di fare dimostrata anche dall’Istituto universitario europeo di Fiesole ed alcuni suoi studenti, che è l’ultimo regalo del pomeriggio pratese. "Non potevamo chiudere gli occhi davanti a quello che ci accade attorno" dicono. Così, in collaborazione con la Caritas di Firenze e la parrocchia di Fiesole, hanno aperto le loro porte a sei ragazzi di venti anni o poco più, provenienti dal Mali, dal Gambia, dalla Costa d’Avorio e dalla Repubblica Democratica del Congo: offrendo loro un alloggio ed accoglienza, ma attività di socializzazione e un progetto di alfabetizzazione per riempire la lunga attesa di una risposta alla loro richiesta di asilo  ed aiutarli a costruire la loro vita in Europa.