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L’energia nascosta nelle miniere abbandonate

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Alla geotermia serve uno scatto di innovazione per poter sfruttare il potenziale energetico nascosto sotto terra. Una delle strade che si sta esplorando è quella dell’utilizzo dell’”acqua delle miniere”. Non mancano i problemi, ma anche in Italia si sta studiando il sistema. Insieme alla geotermia di profondità

Fonte: NOVA-IlSole24Ore

Autore: Gianluigi Torchiani

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita impetuosa delle energie rinnovabili, in particolare eolico e solare che, partendo praticamente dal nulla, sono arrivate a coprire una fetta consistente del nostro fabbisogno energetico nazionale. Decisamente, più limitati, invece, sono stati i progressi di una fonte pulita come la geotermia, che l’Italia sfrutta da circa un secolo: dal 2010 a oggi il contributo di questa risorsa nel settore elettrico è cresciuto da 0,46 a 0,53 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), mentre nel lato termico si è assistito persino a un leggero arretramento (fonte, stime preliminari 2015 Gse).

Alla geotermia nazionale serve quindi uno scatto, anche da un punto di vista tecnologico e di innovazione, per aiutare l’Italia a centrare i suoi obiettivi in materia di generazione da rinnovabili. Un’idea che è stata rilanciata nell’ultimo periodo è quella di sfruttare un particolare tipo di energia geotermica, quella legata alla cosiddetta “acqua delle miniere”. Una strada che sembra essere realmente praticabile in Scozia, dove i ricercatori del James Hutton Institute stanno esplorando la possibilità di creare un sistema di teleriscaldamento geotermico nel North Lanarkshire per garantire il riscaldamento di famiglie e imprese, basato su una rete di cave abbandonate.

“Il tema delle miniere non è nuovo – racconta Ruggero Bertani, responsabile delle attività di innovazione per la geotermia in Enel Green Power, già direttore dell’Associazione geotermica internazionale – . L’idea è nata in Polonia, dove c’è una notevole disponibilità di diverse miniere, anche parecchio profonde. Il principio che sta alla base è semplice: si pompa acqua all’interno delle cave, questa si scalda (per il cosiddetto gradiente geotermico, ossia l’incremento progressivo di temperatura che si riscontra al di sotto del suolo terrestre, ndr). Oppure si impiegano le falde preesistenti. Una volta arrivata in superficie l’acqua può essere riutilizzata a scopi energetici”.

Tutto perfetto, allora? In realtà, secondo l’esperto di Enel Green Power, ci sono diversi problemi da affrontare: “Innanzitutto questa acqua risulta non pulita, perché è contaminata da metalli, minerali, polveri, ecc. il secondo limite è la temperatura, che è medio- bassa: in una miniera profonda mille metri si può arrivare al massimo a 30-40 gradi. Questo significa un incremento di temperatura rispetto all’acqua di superficie non certo esaltante. Quindi la possibilità di impiego a scopi industriali è difficile. Tanto che in Polonia alla fine le idee sono rimaste sulla carta, mentre in Olanda è stato invece realizzato un progetto che serve per il riscaldamento di piccoli ambienti come le serre”.

E in Italia? Un’ipotesi di questo tipo era prevista dall’accordo del 2009 per la bonifica e messa in sicurezza dei siti minerari delle Colline metallifere, ma a questa proposta non sono poi seguiti passi in avanti significativi, anche se l’idea è stata rilanciata di recente a livello locale. Sicuramente Enel Green Power, non ha in programma progetti in tal senso, conferma Bertani. Decisamente più avviato è invece il progetto Descramble, che ha ricevuto un finanziamento di quasi 7 milioni di euro nell’ambito di Horizon 2020 e che dovrebbe essere realizzato nella stessa zona in cui ha avuto origine la geotermia italiana, ossia Larderello (Pisa).

In buona sostanza, per superare l’attuale situazione di stallo di questa fonte, si cercheranno nuove risorse geotermiche a profondità notevolmente superiori a quelle attuali.  In particolare con Descramble si tenterà di sfruttare le risorse disponibili tra i 3 e i 3,5 km al di sotto della superficie terrestre. A questi livelli le condizioni ambientali estreme portano l’acqua a raggiungere quello che è chiamato uno stato “supercritico”, ovvero una situazione in cui si riscontrano allo stesso tempo alcune proprietà tipiche dello stato liquido e altre dello stato gassoso (per effetto delle temperature vicine ai 400 gradi). L’obiettivo principale del progetto è lo sviluppo di tecnologie che siano in grado di trivellare ed estrarre questa “acqua supercritica”. Con vantaggi notevoli: “La stima è che, a parità di portata, un pozzo di questo genere possa permettere di generare una quantità di energia elettrica 10 volte superiore rispetto agli impianti tradizionali, consentendo inoltre un abbattimento notevole dei costi di produzione”, conclude Bertani.