Considerate i cambiamenti climatici come una sfida per lo sviluppo. Una partita che chiama in causa investimenti in ricerca e innovazione, efficienza energetica, fonti pulite di energia e limiti alla deforestazione.
Come risultato, vedrete che abbattere le emissioni di gas a effetto serra è un’attività attraente per l’economia, mentre partecipare a politiche globali di mitigazione dei cambiamenti climatici per contenere l’innalzamento della temperatura media globale entro i 2°C offre benefici maggiori dei costi richiesti.
In altre parole, limitare le emissioni di gas a effetto serra è un buon investimento che,per ogni 5 dollari impegnati, potrebbe fruttarne 11 già a partire dal decennio che inizia nel 2040. A patto che si inizi a mettere mano da subito a politiche attive per la riduzione delle emissioni e non si indugi troppo nel ragionare solo ed esclusivamente sul brevissimo periodo.
Sono, questi, alcuni tra i risultati del progetto “Strengthening Planning Capacity for Low-Carbon Growth in Developing Asia”, ora contenuti nel report “SouthEast Asia and the economics of global climate stabilization” (in allegato in basso).
Realizzato dalla Asian Development Bank con il cofinanziamento dei governi britannico e giapponese, il progetto si è avvalso della collaborazione scientifica delCMCC che – con un team di ricerca composto da Francesco Bosello, Massimo Tavoni, Carlo Orecchia e Giacomo Marangoni – ha messo a disposizione due dei suoi modelli (WITCH e ICES al fine di valutare costi e benefici di strategie di riduzione di emissioni di gas a effetto serra su una regione che comprende cinque Paesi (Indonesia, Malesia, Filippine, Tailandia e Vietnam) che insieme rappresentano il 90% delle emissioni dell’intero Sud Est asiatico.
Il progetto prende in esame le politiche di mitigazione di medio periodo (2020) che sono ufficialmente parte del piano di decarbonizzazione dei paesi considerati e le colloca poi nell’ambito delle strategie di mitigazione su orizzonte temporale più lungo.
Concentrandosi in una regione che è in cima alle classifiche delle emissioni di gas a effetto serra degli ultimi anni, con un aumento di circa il 5% l’anno durante il ventennio 1990/2010, il progetto offre informazioni e approfondimenti su come si possa invertire questo andamento di crescita, sulle implicazioni delle azioni necessarie e sui risultati conseguibili attraverso l’analisi di quattro diversi scenariche disegnano possibili realtà che potrebbero verificarsi nel 2050, a seconda che si decida di non attuare politiche climatiche (scenario cosiddetto BAU), di agire con iniziative di singoli paesi ma non secondo quanto definito nel contesto globale, di intervenire in accordo alla comunità internazionale per limitare l’aumento della temperatura entro i 3°C, o per limitarlo entro i 2°C.
Quest’ultimo è lo scenario più ambizioso, che richiede costi più elevati nell’immediato e un’iniziativa più tempestiva. Nel dettaglio, i risultati del progetto ci dicono che i costi relativi a politiche di mitigazione sono stimati tra il 2,5% e il 3,5% del Pil complessivo della regione nel periodo 2010-2050.
È utile notare che i costi salgono se l’azione relativa alla mitigazione viene rimandata. Ad esempio: un ritardo di dieci anni nell’implementazione di politiche e strategie coerenti con lo scenario compatibile con i 2°C, potrebbe far crescere del 60% il conto che si presenterebbe nel 2050.
Tra i settori chiave interessati dalle politiche di mitigazione per i cinque paesi considerati dal progetto, figura certamente l’uso e lo sfruttamento del suolo. Si tratta, infatti, di una regione che negli ultimi decenni è particolarmente colpita da attività di deforestazione. Fermare questo trend sarebbe un elemento cruciale per abbattere i costi della decarbonizzazione nel breve-medio periodo.
Nel lungo periodo, invece, l’abbattimento dei costi trarrebbe beneficio dall’introduzione di tecnologie nel settore energetico che mirino ad aumentare l’efficienza dei consumi, e a sostituire carburanti derivanti da fonti fossili con alternative più pulite e rinnovabili. La presenza di queste tecnologie in uno scenario che contempli un aumento di temperatura inferiore ai 2°C, richiede investimenti in ricerca pari a oltre 2 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020, e potrebbe potenzialmente dimezzare i costi della riduzione delle emissioni in rapporto al Pil della regione nel 2050.
Vi sembrano costi esorbitanti? In realtà si tratta di numeri che ci danno un messaggio chiaro: abbattere le emissioni di gas serra può costare assai meno ai cinque Paesi del Sud Est Asiatico di quanto speso finora in sussidi all’energia prodotta con fonti fossili. Nel 2010 i governi dei Paesi presi in considerazione dal rapporto, hanno speso più del 3% del Pil per sussidi a fonti fossili, una cifra assai superiore rispetto ai costi stimati per la riduzione delle emissioni.
Ridurre questi sussidi in modo graduale e mirato, come ha iniziato a fare l’Indonesia nel 2015 – si legge nel rapporto dell’Asian Development Bank – può liberare le risorse necessarie a finanziare una transizione a un sistema energetico a basso contenuto di carbonio.
Un ulteriore lato positivo degli investimenti per limitare le emissioni di gas serra è rappresentato dai co-benefici generati nel medio e breve periodo in termini di salute pubblica, traffico veicolare e netta diminuzione di incidenti connessi alla mobilità. Benefici, questi, che si aggiungono alla sostanziale riduzione di perdite economico-finanziarie connesse agli impatti legati ai cambiamenti climatici.
Alla luce dei dati prodotti dalla ricerca la realizzazione di politiche di riduzione delle emissioni di gas serra che siano tempestive e coerenti con le strategie internazionali, rappresentano per Indonesia, Malesia, Tailandia, Filippine e Vietnam una vera e propria sfida per lo sviluppo, un investimento sul futuro dell’intera regione.