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Le linee guida riscrivono le regole sulle rinnovabili

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Ampio articolo sulle linee guida per le energie rinnovabili

Fonte: Il Sole 24Ore

Autore: Silvio Rezzonico Giovanni Tucci

Le linee guida per l’installazione delle fonti rinnovabili sono in vigore dal 3 ottobre. La pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» (la n. 219 del 18 settembre) non ha variato in modo significativo il testo approvato dalla Conferenza stato regioni a luglio. Lo scopo delle linee guida è stabilire:

1) l’iter degli assensi per la costruzione, modifica e potenziamento di tutte le fonti rinnovabili che producono energia elettrica (esclusi gli impianti offshore), comprese le opere connesse;

2) la documentazione necessaria per ottenere tali assensi;

3) la localizzazione degli impianti sul territorio, con i criteri perché le regioni possano determinare le aree escluse a seconda del tipo di impianto;

4) le garanzie economiche da prestare per poter eseguire l’installazione e i costi e le misure compensative che gli enti locali possono chiedere;

5) i criteri per mitigare l’eventuale impatto sul territorio delle fonti stesse. In un allegato sono dettagliati specificamente quelli previsti per gli impianti eolici.

Si è quindi finalmente disegnato un quadro di certezze, dopo contrasti tra stato e regioni, sfociati in numerosi ricorsi alla corte costituzionale. La Suprema corte aveva in buona sostanza bocciato quasi tutte le disposizioni prese in esame (quelle di Calabria, Puglia, Molise, Basilicata e Val d’Aosta, in particolare), e molti altri ricorsi erano rimasti pendenti. Le norme quadro regionali erano state giudicate di competenza nazionale e non locale, e da stabilirsi quindi con le linee guida solo oggi varate.

Il principio base su cui si fonda il decreto è che l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è opera di pubblica utilità, indifferibile e urgente, nel rispetto delle quote "verdi" assegnate a ciascuna regione. Ogni limite posto dagli enti locali deve essere l’eccezione e non la regola. In particolare non sono dovuti oneri concessori di alcun tipo, né possono essere chiesti contributi o spese di pratica se non entro soglie ridotte e rigidamente stabilite dal decreto stesso.

Autonomia locale

Alle regioni e alle province eventualmente da loro delegate è riservata:

– l’individuazione dei siti esclusi dall’installazione di fonti rinnovabili, sulla base di criteri piuttosto rigidi. Gli elenchi e le planimetrie devono essere resi pubblici attraverso i siti web delle regioni, e degli enti locali interessati;

– la gestione del procedimento di autorizzazione unica (quello di Dia/Scia o comunicazione è appannaggio dei comuni);

– le modalità e i termini di conclusione dei relativi procedimenti, in eccezione al decreto;

– l’eventuale richiesta di documentazione aggiuntiva, rispetto a quella prevista dal decreto, da allegare all’istanza;
– la possibilità di estendere l’attività di installazione libera (con semplice comunicazione) a impianti ulteriori rispetto a quelli previsti dal decreto. Non pare invece possibile estendere la Dia/Scia a impianti che necessitino dell’autorizzazione unica;

– la determinazione degli oneri a copertura delle spese istruttorie della pratica (che possono al massimo essere pari allo 0,03% del costo degli investimenti);

– le misure di compensazione a favore dei comuni a carattere «non meramente patrimoniale».

Procedimenti in corso

Importante il raccordo con i procedimenti in corso. Se vogliono far valere le discipline locali per le installazioni già in corso, le regioni hanno solo tre mesi per adeguare le loro norme alle nuove linee guida apportandovi i mutamenti previsti nell’ambito della loro autonomia. Altrimenti, vale il dettato delle linee guida nazionali. Vanno invece conclusi entro i 90 giorni i procedimenti in atto relativi a impianti per cui si sia accettato il preventivo per la connessione redatto dal gestore della rete elettrica nazionale e che abbiano ricevuto i pareri ambientali prescritti.

Misure di compensazione

Il principio secondo cui regioni e province non possono chiedere denaro in cambio dell’installazione delle fonti rinnovabili è assoluto. Tuttavia, i comuni hanno diritto di pretendere che siano attuate opere di sistemazione dei siti in cui è situato l’impianto, in modo da diminuirne sensibilmente l’impatto sul paesaggio. Ove possibile non si dovrà chiedere denaro contante, ma solo interventi diretti sul sito. Il costo di tali interventi dovrà essere contenuto entro il 3% dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto. Si dovrà comunque tener conto di tutte le misure prese dal committente per diminuire gli impatti negativi. Per fare due esempi, si potrebbe imporre che una distesa di pannelli fotovoltaici a terra sia mascherata alla vista da filari di piante o che l’installazione di pale eoliche limiti il più possibile gli sbancamenti e i riporti di terreno.

Il testo cita la «Dia» ma basterà la «Scia»

Il tipo di assenso necessario dipende essenzialmente dal tipo di fonte rinnovabile, dalla potenza dell’impianto e dal possibile impatto sul territorio (si veda la tabella in alto). A grandi linee, si può dire che l’iter più complesso (l’autorizzazione unica) è previsto solo per gli impianti oltre una certa taglia (60 kW per l’eolico, 20 kW per il fotovoltaico, 100 kW per l’idraulico e via elencando).

Invece, la preferenza per la più semplice comunicazione in comune rispetto alla Scia dipende essenzialmente dai criteri di realizzazione: pannelli fotovoltaici non sporgenti dal tetto e non siti nei centri storici, pale eoliche alte fino a un metro e mezzo e di dimensioni contenute, impianti geotermici e idraulici che non alterano la volumetria degli edifici, eccetera.

Tuttavia se il proponente l’impianto non ha titolo sulle aree o sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse, l’autorizzazione diviene l’unica strada da seguire.

A proposito di Dia, va segnalato che il testo del decreto non ha tenuto conto degli aggiornamenti normativi introdotti con la manovra finanziaria (legge 122/2010, articolo 49) che introduce la Segnalazione certificata di inizio attività (Scia). La nota del 16 settembre del ministero della Semplificazione chiarisce che la Scia è integralmente sostitutiva della Denuncia di inizio attività (Dia), salvo quando questa è a sua volta sostitutiva del permesso di costruire e si configura quindi come «SuperDia». Nel campo dell’installazione delle rinnovabili c’è da supporre che tale ambiguità non dovrebbe presentarsi: in altre parole, dove si parla di Dia deve intendersi Scia (salvo ulteriori chiarimenti).

Per i lavori non strettamente legati all’installazione delle fonti rinnovabili – ma eseguiti in contemporanea – resta possibile eseguire le opere interne, anche di manutenzione straordinaria, agli edifici, quelle di pavimentazione di aree esterne, le strutture temporanee con semplice comunicazione: insomma, il decreto recepisce la nuova versione del testo unico dell’edilizia, senza titoli abitativi ma con la stessa comunicazione prevista per gli impianti.

Vengono infine dettagliati i contenuti minimi dell’autorizzazione unica: progetto, relazione tecnica, attestazioni di disponibilità dell’area, concessioni e preventivi per gli allacciamenti, destinazione urbanistica, cauzioni, oneri istruttori eccetera. Si ripercorrono tempi e modi per ottenere l’autorizzazione: avvio del procedimento entro 15 giorni dalla presentazione; convocazione della conferenza di servizi entro 30 giorni; eventuale procedura di assoggettabilità o di valutazione di impatto ambientale, se prescritta; casi in cui interviene il ministero per i Beni e le attività culturali, connessione in rete da parte del gestore dei servizi, intervento delle Soprintendenze e via elencando. L’autorizzazione è di per sé titolo a costruire ed esercire l’impianto e, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. 

Ogni Regione deve garantire la quota minima di energia pulita

Il decreto delega alle regioni il compito di elencare le aree e i siti in cui non si potranno installare gli impianti, che andranno scelti soprattutto tra:

a) le aree comunque tutelate dall’articolo 142 del Dlgs 42/2004 (fino a 300 metri dalla costa marina o dai laghi, fino a 150 metri dai corsi d’acqua, montagne oltre i 1.600 metri, vulcani, zone ad usi civici, foreste e boschi, zone umide protette, circhi glaciali, valutando la sussistenza di particolari caratteristiche che le rendano incompatibiti con la realizzazione degli impianti;

b) siti patrimonio mondiale dell’Unesco, Rete Natura 2000, Important Bird Areas, Convenzione di Ramsar, Zone di protezione speciale;

c) i parchi naturali nazionali, regionali e locali, comprese le zone contigue di rispetto e i parchi in via di istituzione, con particolare riferimento alle aree di riserva integrale e di riserva generale orientata;

d) le aree agricole con produzioni alimentari di alta qualità (per esempio Dop, Doc, Docg, Igp, Stg);

e) le zone a rischio di dissesto idrogeologico;

f) le aree con panorami di particolare notorietà e attrattività turistica.

Per il resto, l’individuazione dei siti non idonei dovrà essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale e comunque differenziata riguardo alle diverse fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei.

L’esclusione avviene con un’istruttoria contenuta nell’atto di programmazione con cui si definiscono le misure e gli interventi necessari al raggiungimento delle quote minime di produzione di energia da fonti rinnovabili assegnate a ogni regione. Tale atto di programmazione diverrà però obbligatorio solo entro il termine di 180 giorni dall’emanazione del nuovo decreto che fissa la ripartizione tra gli enti territoriali delle quote verdi per raggiungere l’obiettivo del 17% del consumo interno lordo entro il 2020 (previsto dall’articolo 8 bis della legge 13/2009).

L’allegato 4 al decreto si occupa poi, più in particolare, del corretto inserimento degli impianti eolici che, come è riconosciuto, restano «visibili in qualsiasi contesto territoriale» e con misure di mascheramento raramente efficaci. A parte consigli abbastanza scontati (se possibile, per i parchi eolici preferire le aree degradate) lo sforzo è quello di mitigare il loro impatto e, ove possibile, trasformarli in una parte di un nuovo contesto visivo.

Tra le misure di mitigazione, il fatto di assecondare le geometrie consuete del territorio quali, ad esempio, una linea di costa o un percorso esistente. In tal modo non si frammentano disegni territoriali consolidati. Poi viabilità di servizio lastricata con pietre o a ghiaia, interramento dei cavidotti, soluzioni cromatiche neutre e di vernici antiriflettenti, gruppi omogenei di turbine piuttosto che macchine individuali disseminate, rilievo della distanza da punti panoramici o da luoghi di alta frequentazione.