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Uno studio del MIT: per il clima serve una carbon tax

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Le energie rinnovabili sono sempre più competitive, ma senza una fiscalità che faccia pagare a carbone, petrolio e gas i danni che producono, le fossili continueranno ad essere più convenienti dal punto di vista economico. Uno studio dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology

Fonte: QualEnergia.it

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 Negli ultimi anni, nel campo ambientalista molti hanno pensato che la transizione energetica sia inevitabile perché mossa, oltre che dalla necessità di fermare il global warming, dall’inesorabile calo dei costi di produzione dell’energia da fonti rinnovabili. Un nuovo studio pubblicato al MIT di Boston avverte che non esattamente è così.

Anche nella produzione da fossili, si argomenta, ci sono delle diminuzioni dei costi dovute a miglioramenti tecnologici e, se non si mettono in campo strumenti di sostegno come una carbon tax e finanziamenti all’innovazione, non abbandoneremo le fonti sporche mai abbastanza in fretta da evitare il disastro climatico. “Se non adottiamo nuove politiche, non lasceremo sotto terra le energie fossili”, sintetizza Christopher Knittel, economista dell’energia alla MIT Sloan School of Management e tra gli autori dello studio.

Lo studio “Will We Ever Stop Using Fossil Fuels?”

Le rinnovabili – mostra il lavoro del Massachussets Institute of Technology – hanno fatto negli ultimi anni progressi promettenti in quanto a competitività – ad esempio icosti del fotovoltaico sono scesi di circa due terzi dal 2009 al 2014 – ma nuove tecniche di estrazione hanno reso più abbondanti ed economiche anche le riserve di gas e petrolio: ad esempio, negli Usa, patria della rivoluzione dello shale, dal 2000 al 2014 quelle di petrolio sono cresciute del 59% e quelle di gas naturale del 94%.

Se lasciamo fare al mercato senza correttivi, è il messaggio dello studio,continueremo a bruciare combustibili fossili e se useremo tutte le riserve di gas, petrolio e carbone disponibili questo ci porterà ad aumenti della temperatura globale da 5,5 a 11 gradi Celsius entro fine secolo: scenari nei quali in molte parti del Pianeta sarebbe pressoché inabitabili per la razza umana.

Anche le fossili sono diventate più economiche e abbondanti

Lo studio si concentra molto sull’evoluzione tecnologica vissuta negli ultimi anni nel mondo dell’oil & gas. Sabbie bituminose, giacimenti da scisti, trivellazioni in acque profonde hanno aumentato notevolmente le riserve disponibili, si fa notare.

Anche le tecnologie per l’esplorazione e lo sfruttamento dei pozzi sono migliorate: nel 1949 c’era il 20% di probabilità che un’esplorazione petrolifera andasse a buon fine, nel 2007 questa percentuale è stata del 67% e oggi secondo la U.S. Energy Information Administration è attorno al 50%. Nel complesso dal 2005 al 2014 il consumo globale di combustibili fossili è cresciuto del 7,5% per il petrolio, del 24% per il carbone e del 65% per il gas.

Rinnovabili più competitive ma il gap resta

Dall’altra parte i progressi delle rinnovabili, seppur notevoli, non bastano a mandare in pensione le fonti sporche. Nonostante il vertiginoso crollo del costo LCOE del solare fotovoltaico, si fa notare, questo resta circa il doppio di quello delle centrali a gas.

Allo stesso modo perché i veicoli elettrici spiazzino, senza incentivi, quelli a combustione interna c’è molta strada da fare: con il costo delle batterie attuale – considerato a 325 $/kWh – il petrolio dovrebbe stare a 350 $ al barile per rendere un’auto elettrica conveniente rispetto a una a benzina.

Serve la carbon tax

Come risolvere la situazione? Certo i progressi tecnologici porteranno a una sempre maggiore competitività dell’energia pulita, ma serve una spinta dalla politica sotto forma di meccanismi di supporto. Per Knittel e colleghi, oltre agli investimenti pubblici nella ricerca, è la carbon tax lo strumento giusto per colmare la disparità tra fossili e fonti pulite.

La tassa sulla CO2 secondo gli autori consentirebbe di far pagare alle varie fonti le esternalità negative – sotto forma di danni alla salute, all’ambiente e al clima – che attualmente scaricano sulla società.

“Tassare le esternalità non sarebbe in contraddizione con il sistema del libero mercato – osserva Knittel – anzi lo renderebbe più efficiente. L’idea che un economia di mercato non debba avere tasse è sbagliata”.

Sono diversi gli studi che quantificano le esternalità negative delle fossili. Secondoun lavoro della Duke University ad esempio se nel prezzo dell’energia fossero inclusi anche i danni che la sua produzione causa ad ambiente e salute umana, un litro di benzina dovrebbe costare circa un euro in più e un kWh di elettricità da carbone quattro volte il costo sostenuto ora da chi lo produce: circa 40 eurocent, pari a 3 volte il costo di un kWh da fotovoltaico.

Lo studio “Will We Ever Stop Using Fossil Fuels?” di Thomas Covert, Michael Greenstone, Christopher R. Knittel pubblicato su Journal of Economic Perspectives (pdf)