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«La guerra del carbone è persa», parola di Appalachian Power. Negli Usa più gas e rinnovabili

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Ma i repubblicani vogliono bloccare il Clean Power Plan di Obama

Fonte: greenreport.it

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Di fronte a una folta platea di energy executives statunitensi, Charles Patton, il presidente dell’Appalachian Power, la più grande compagnia energetica della West Virginia,  ha dichiarato conclusa la guerra del carbone e ha ammesso che il carbone non l’ha vinta.

Secondo la Charleston Gazette mail,  Patton ha detto che «Il consumo di carbone è destinato a rimanere stagnante, anche se non verrà permesso di andare avanti a regolamenti federali come il Clean Power Plan». Che è proprio quello che sta cercando di fare il Partito Repubblicano, che ha presentato due risoluzioni contro il piano anti-inquinamentodi Obama, utilizzando il Congressional Review Act, che permette al Congresso di bloccare le azioni esecutive del presidente Usa con semplici voti di maggioranza. Ma si tratta di una manovra che è a sua volta soggetta ad un veto presidenziale e che è raramente riuscita a fermare i regolamenti approvati dal Governo. I repubblicani vogliono fare evidentemente un altro disperato favore ai King Coal che li finanziano e mettere in difficoltà Obama a un mese dall’inizio della Conferenza delle parti Unfccc di Parigi. Ma questa volta rischiano davvero di fare la figura dell’ultimo soldato giapponese che non si arrende perché non sa che la guerra è finita.

Lo stesso Patton ha detto ai suoi colleghi dell’industria energetica di mettersi l’anima in pace: «Nel dibattito nazionale sul  carbone e il cambiamento climatico, l’opinione pubblica è in gran parte d’accordo con il cambiamento climatico. A questo punto, non possiamo più andare avanti con nuovo carbone. E non solo perché non è economicamente fattibile».

Quindi la nuova battaglia di retroguardia contro il di Clean Power Plan di Obama, lanciata in grande stile dai repubblicani, che accusano il Presidente e i candidati democratici di voler mettere sul lastrico milioni di lavoratori e le loro famiglie e di distruggere l’industria energetica e mineraria Usa, non ha nessuna base economica, prima che ambientale.  Patton ha stimato che l’utilizzo del carbone da parte di Appalachian Power nel 2026 potrebbe calare del 26%.

Il Clean Power Plan è stata pubblicato il 23 ottobre sul Federal Register  ed è già stato oggetto di almeno 20 azioni legali da parte dei governatori repubblicani degli Stati  Usa che producono combustibili fossili, di utility e di compagnie estrattive del carbone.  Ma l’amministrazione Obama e gli ambientalisti sono fiduciosi che le azioni legali verranno respinte. Ma anche se qualche tribunale non lo farà, il carbone  Usa sembra essere un malato terminale e questo grazie ad altre  norme che limitano le emissioni di inquinanti nocivi come lo zolfo e il mercurio, ma anche a causa del  boom del fracking  che ha reso il gas naturale a basso costo e largamente disponibile. Per  molte compagnie energetiche è diventato più conveniente chiudere le vecchie  centrali a carbone che adeguarsi alle nuove norme, soprattutto quando il gas naturale è così a buon mercato. Patton conferma: «Con o senza il Clean Power Plan, le alternative economiche ai combustibili fossili stanno facendosi spazio nei piani delle utility. Le companies oggi stanno prendendo decisioni che le stanno allontanando dalla produzione da carbone».

La West Virginia è uno degli Stati Usa dai quali sono arrivate più azioni legali contro il Clean Power Plan, ma Patton ha detto che comunque sostiene il governatore democratico della West Virginia, Earl Ray Tomblin, , che ha predisposto un piano statale conforme al Clean Power Plan federale.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione energetica, visto che le centrali elettriche a carbone sono ancora la fonte primaria di energia elettrica negli Stati Uniti, fornendo il 34% dell’energia elettrica USa. Ma nel prossimo futuro, quando verranno applicate le norme dell’Environmental Protection Agency, questa quota dovrebbe scendere a circa il 30% e a luglio il gas ha superato per la seconda volta il carbone nella produzione di energia elettrica, un trend che dovrebbe proseguire se il gas resterà così a buon mercato. Gli ambientalisti statunitensi non sanno se gioire per il calo dello sporchissimo carbone o preoccuparsi per l’aumento del fraking che mette a rischio le falde idriche, il territorio e la salute.

Inoltre per gli ambientalisti potrebbero aprirsi altri scenari molto problematici: per contrastare il calo della domanda interna Usa di carbone, Patton ha invitato i King Coal a «pensare globalmente». In quasi tutto il mondo il carbone resta una fonte energetica molto popolare e, nonostante gli impegni a tagliare le emissioni, in molti Paesi si assiste ad un “rinascimento del carbone”: attualmente  ci sono progetti per più di 2.000 centrali a carbone e 557 sono in costruzione. Per portare il carbone degli Stati Uniti verso i mercati esteri, in particolare i mercati in Asia, dove la domanda di carbone rimane alto, diverse compagnie statunitensi hanno proposto la realizzazione di terminal portuali sulla West Coast.  Solo nello Stato di Washington, due progetti di porti carboniferi dovrebbero consentire di spedire milioni di tonnellate di carbone all’estero. I progetti aspettano le autorizzazioni federali, ma intanto devono fare i conti con la decisa opposizione delle comunità locali, degli ambientalisti e dei popoli autoctoni che vivono nelle aree interessate dai progetti.  Le compagnie carbonifere stanno anche cercando di realizzare un nuovo terminal per le esportazioni ad Oakland, in California, e se riusciranno a spuntarla,  contano di completarlo entro il 2017.

Insomma, e ancora una volta, gli Stati Uniti rischiano di diventare più virtuosi in casa loro e di esportare la guerra, questa volta del carbone, altrove.