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Petrolio, l’Arabia Saudita scopre il sole

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Fonte: ilfattoquotidiano.it

Autore: Maria Rita D’Orsogna

L’Arabia Saudita scopre il sole, si chiama Turki bin Saud bin Mohammad Al Saud. E’ un principe dell’emirato nonché uno dei principali promotori della solarizzazione della petrol-nazione per eccellenza.

I progetti sono tanti. Vicino alla capitale Riyadh il governo si appresta a costruire una fabbrica di pannelli solari. Sulla costa del golfo di Persia si produce polysilicon, il materiale di base per le cellule fotovoltaiche. La principale petrol-ditta del mondo, la Saudi Aramco, e la Saudi Electricity Company, che distribuisce energia elettrica al paese,  progettano dieci nuovi impianti solari per il prossimo anno. Turki è anche a capo del King Abdulaziz City for Science and Technology, ente di ricerca e di Taqnia, che sviluppa progetti solari.

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Addirittura Ali Al-Naimi, il ministro del petrolio del paese, in un convegno sul clima a Parigi, nel maggio 2015 dichiarò che gli stessi arabi si rendono conto che un giorno potremo vivere senza petrolio e che quindi si preparano ad esportare sole e non petrolio. “Presto il solare sarà più economico del petrolio”. Lo dice il ministro del petrolio dell’Arabia Saudita!

Rivoluazionario, no? Un paese che per decenni è stato il fornitore mondiale di petrolio, e uno dei paesi più spreconi di oro nero, che adesso volge lo sguardo al sole. Il costo della benzina in Arabia Saudita è di circa 15 centesimi di euro a litro, le autostrade pullulano di Suv giganteschi, l’aria condizionata è sempre accesa, anche quando si va in vacanza, tanto che i sistemi di climatizzazione di interni succhiano il 70% dell’ uso di energia elettrica. Arriva quasi tutto dalla combustione di petrolio. E siccome c’è bisogno di enormi quantità d’acqua per far funzionare tutto, accanto alle raffinerie a volte sorgono impianti di desalinizzazione dal mare. Costi astronomici. A volte la produzione interna di prodotti raffinati, non è sufficiente e cosi diesel ed affini vengono comprati sul mercato internazionale. I soldi non mancano mai.

In Arabia Saudita ci sono circa 30 milioni di persone. Sono il sesto paese al mondo per uso di petrolio. Bruciano un quarto di quello che producono. Con i petrodollari ci pagano tutto, anche i servizi sociali. Non si pagano tasse qui.

Pare che il petrolio non debba finire mai. E infatti nessuno sa esattamente quanto grandi siano le riserve attuali del paese – è una sorta di segreto nazionale. Ma le cose cambiano anche dove sembrano immutabili. Ci si rende finalmente conto che non può durare in eterno e che è ora di usarlo il sole che picchia forte sulle loro teste.

I sauditi non sono molto preoccupati dell’ambiente o dei cambiamenti climatici. E certo, non smetteranno di pompare petrolio domani e neanche di voler petro-dominare il pianeta. Ma c’è un panta rei pure per loro e vogliono usare il sole perché si rendono conto che se vogliono ancora mantenere i privilegi che hanno devono cambiare pure loro. E con i costi delle rinnovabili che crollano, non è difficile perseguire questa politica.

I prezzi del solare continuano a scendere, la tecnologia è più efficiente e l’attenzione degli investitori è alta. E cosi, tre anni fa, gli arabi hanno deciso di realizzare entro il 2034 impianti per generare circa 41 GW di capacità, più di quanto non abbia la Germania oggi per arrivare al 20% di consumo interno dal solare. Adesso la percentuale è zero. E siccome pensano in grande, non vogliono solo installare pannelli solari nei loro deserti, assieme all’energia, li vogliono anche produrre e vendere agli americani, agli Europei perché intravedono guadagni e perché vedono buone opportuità per i giovani. Sono orgogliosi di avere costruito “il più grande parcheggio coperto da pannelli solari del mondo”.

Ma non sarà facile in Arabia Saudita. Le abitudini sono radicate, i petrol-sussidi fanno parte dei diritti considerati quasi “inalienabili” dai residenti che sono abituati a bassi prezzi di energia e di benzina. C’è resistenza anche per i primi, timidi passi che iniziano a fare. Per la prima volta, nello scorso anno, sono state imposte degli standard di efficienza per l’aria condizionata, per le macchine ed è stato imposto che i nuovi edifici debbano essere isolati dall’esterno.

I sauditi iniziarono a guardare al sole tanti anni fa – per la precisione nel 1979, quando lanciarono un progetto sperimentale a Al-Uyaynah, un villaggio non lontano dalla capitale Riyadh che non aveva corrente elettrica. Dopo un periodo di stallo, nel 2010 Turki decise di costruirci un impianto per la realizzazione di pannelli solari. Da allora la produzione è aumentata di un fattore trenta, anche se non mancano occasionali problemi di fornitura e di logistica.

Intanto, presso il centro universitario King Abdulaziz City for Science and Technology arrivano vari esperti europei, americani, australiani, ammaliati dalle enormi quantità di denaro che i sauditi elargiscono e con l’intento di creare centri di ricerca sul solare e startup per la produzione di pannelli sempre più efficienti e affidabili. Ad esempio: come pulire le superfici dei pannelli quando vengono coperte dai granelli di sabbia e dalle polveri del deserto senza acqua?  Ci sono voluti cinque anni, ma una delle startup in questione, guidata da Georg Eitelhuber, ingegnere meccanico d’Australia ha trovato un sistema semplice per farlo, progettando delle spazzole automatiche con sensori incorporati. Verranno installate sui pannelli nel 2016.

Ci riusciranno i sauditi a solarizzarsi? Non lo sappiamo. Certo c’è molta strada da fare ancora: ci sono già dei ritardi e molte cose non andranno per il verso giusto. E probabilmente lo fanno per tornaconto economico e non perché il pianeta sia allo stremo. Ma ci si sono messi di impegno, fanno sul serio, con investimenti e progetti a lungo termine. E già solo che un paese di petrolieri pensi che ci si possa guadagnare nel passare dal petrolio al sole è un enorme progresso, per le rinnovabili, per il pianeta, per noi. Significa che sole e vento non possono che crescere nei prossimi anni.

Chissà, magari mentre in Italia continuiamo a parlare di trivelle in tutta Italia, presto arriverà la corsa all’oro dorato, invece che all’oro nero.