E se usassimo la CO2 per produrre energia geotermica?

    387
    0
    CONDIVIDI
    Pompare la CO2 nel sottosuolo non solo per disinnescare la minaccia che rappresenta per il clima e l’ambiente. Ma anche per produrre energia geotermica.

    Fonte: ZeroEmission TV

    Autore: ZeroEmission TV

    A questo scopo il
    governo federale americano, dei 338 milioni di dollari destinati alla
    ricerca per lo sviluppo della geotermia, ne ha assegnati 16 milioni a 9 progetti condotti dal Lawrence Berkeley National Laboratory e altre università e centri di ricerca, che testeranno il potenziale della cattura e stoccaggio della CO2 nella produzione di elettricità dal calore della terra.
    L’idea
    è in sostanza di sparare l’anidride carbonica nel sottosuolo a
    chilometri di profondità, come nel caso delle normali tecnologie CCS.
    Ma siccome, la temperatura aumenta in maniera proporzionale alla
    profondità riscaldando la CO2, si pensa di sfruttare questo calore per
    trasformarlo in energia elettrica.

    Questo metodo, sostengono alcuni, sarebbe addirittura più efficiente di quelli basati sui classici fluidi geotermici.
    E avrebbe il notevole vantaggio di eliminare la CO2 due volte: quella
    catturata dalle centrali a carbone, e quella potenziale evitata grazie
    alla produzione di elettricità pulita.

    In realtà, non si tratta di un’idea nuovissima.
    Questo concept è stato proposto per la prima volta proprio per
    migliorare l’approvvigionamento di calore dal sottosuolo negli impianti
    geotermici. Il problema principale di questi sistemi è infatti rompere
    le rocce calde in profondità acqua per poi portare l’acqua riscaldata
    in superficie.
    Nel 2000 i
    ricercatori del Los Alamos National Laboratory, proposero di utilizzare
    al posto dell’acqua o in combinazione con essa, la CO2 in condizione supercritica,
    ovvero pressurizzata, in parte gassosa e in parte liquida. Il suo
    vantaggio consiste nell’essere meno viscosa e più fluida dell’acqua, e
    dunque, in generale, di evitare di fratturare le rocce risultando al
    tempo stesso una soluzione più efficiente che consente di ridurre le
    perdite di calore.

    La vera
    novità consiste non tanto nell’utilizzare la CO2 nei sistemi
    geotermici, quanto nello sfruttare il potenziale geotermico della
    cattura e stoccaggio della CO2. Si tratterebbe, in pratica, di rendere ancora più vantaggiosi gli impianti CCS,
    non solo da un punto di vista ambientale, ma anche economico in quanto
    consentirebbero, ad esempio, di sfruttare vecchi giacimenti di petrolio
    o di gas, senza dover ricorrere ad altre perforazioni.

    La
    tecnologia non è mai stata sperimentata finora. Si tratta di un
    concept, appunto. Anche perché gli studiosi non conoscono ancora a
    fondo il comportamento della CO2 supercritica ad alte profondità nei
    giacimenti di idrocarburi esausti oppure a contatto con l’acqua negli
    acquiferi salini, serbatoi considerati adatti al confinamento geologico
    permanente dell’anidride carbonica. Gli studi finanziati del Doe
    cercheranno di appurarlo con l’obiettivo di lanciare i primi progetti
    sperimentali entro i prossimi tre anni. Per approfondire.