Questa la parte più significativa
delle considerazioni di Sergio Chiacchella,
direttore Generale di CoSviG. L’ottica è quindi quella del
superamento dei problemi di compatibilità col territorio tramite la
comune confluenza (del comparto energetico locale e delle altre
attività produttive, in particolare quelle del settore
agro-alimentare) verso un “brand” condiviso di distretto
per l’energia pulita.
Chiacchella, come sta la
geotermia in Toscana, anche alla luce dell’intervista a Fausto Batini
«Attualmente la
geotermia toscana produce quasi esclusivamente energia elettrica, con
le concessioni che sono in capo ad Enel. Negli ultimi anni si è
sviluppato il tema degli utilizzi diretti, cioè quelli termici, e
ciò ha consentito di portare avanti il programma per il
teleriscaldamento: in alcuni paesi, quelli dove la risorsa era più
agevole da reperire, è già presente (Pomarance – sia il centro che
le frazioni, Castelnuovo val di Cecina, Monterotondo, Santa Fiora),
mentre andrà messo in opera a Radicondoli, Chiusdino, Montieri,
Monteverdi e Piancastagnaio, riguardo ai quali siamo in fase di
progettazione esecutiva.
Le località sopra si servono del
sistema “tradizionale”. Ultimamente, inoltre, hanno chiesto
di aderire anche Massa marittima e Volterra, ma sono situate
piuttosto lontano dalle aree dove è praticabile l’utilizzo del
flusso disponibile. Quindi stiamo studiando come agire: o si
realizzerà un vaporodotto, oppure proveremo a fare
perforazioni nel punto di utilizzo perchè la zona in questione è
comunque situata all’interno del campo geotermico, anche se ai suoi
limiti.
Oltre ai citati sistemi per il
teleriscaldamento urbano, di pari passo è stata svolta un’azione
insieme ai produttori locali: dove era necessario il calore sono
stati sostituiti i carburanti derivanti da fossili (gasolio e metano)
con l’uso diretto della geotermia, migliorando così l’utilizzazione
della risorsa disponibile e diminuendo la CO2 emessa in atmosfera.
Attualmente siamo a 14.731 Tep
(tonnellate di petrolio equivalente) e 19.640.272 metri cubi di CH4
risparmiati/anno, e 45.648 tonnellate di CO2 non emessa/anno rispetto
all’utilizzo di impianti tradizionali: questo per il solo apparato
produttivo, cioè gli usi diretti aziendali. Per le reti di
teleriscaldamento domestico siamo invece a 7.434 Tep/anno e 9.912.189
metri cubi di CH4 risparmiati/anno, e 23.045 Tep/anno di CO2
risparmiate».
In riferimento alla bassa
entalpia, quali le prospettive? In particolare, e davanti alla fase
di forte crescita di questa tecnologia, è da attendersi un futuro in
cui ogni casa abbia il suo impianto, o si va comunque verso un
modello di produzione centralizzato anche per questa
tecnologia?
«Nella nostra zona (dove la risorsa
geotermica è di qualità “pregiata”) ancora non c’è stata
una diffusione della bassa entalpia come altrove. E’ comunque una
tecnologia che rappresenta il futuro, e mi riferisco anche alla media
entalpia (da 90° a 120-140°). Mentre per la bassa entalpia si può
pensare a impianti indipendenti per appartamenti isolati o per
piccoli condomini, per le zone dove è applicabile la media entalpia
si può pensare a reti più complesse».
Nel dibattito sulla risorsa
geotermica, si sente spesso parlare della necessità di “fare
sistema”, adeguando l’uso della risorsa agli scenari del mondo
globalizzato, ad esempio per la questione delle reti energetiche o
per il mutuo aggiornamento logistico e tecnologico tra le varie
realtà operative.
«Si, credo che la strada delle
reti sia sicuramente quella che consentirà di utilizzare la risorsa
geotermica con tecnologie più moderne e con modalità più
compatibili con l’ambiente. Ricordo infatti che la geotermia è una
risorsa sostenibile e compatibile con i territori dove è in opera,
ma questa compatibilità dipende dalle risorse investite e condivise,
dalle conoscenze condivise e dai risultati – pure – condivisi».
A questo proposito, vogliamo
fare il punto anche sulle questioni legate alla compatibilità con i
territori di cui sopra?
«Non enfatizzerei il problema: oggi
esistono tecnologie che, anche su scala industriale, minimizzano gli
impatti ambientali. Ma comunque, per migliorare la compatibilità col
territorio, è strategico evidenziare i collegamenti con le altre
attività produttive. Quindi, serve far capire ai produttori locali
non solo che la tecnologia è usata con il minor impatto possibile,
ma anche le potenzialità offerte dalla possibilità di evidenziare
che il formaggio o il pane che viene venduto è prodotto tramite
energie pulite.
La prospettiva è aggiungere,
sull’etichetta del prodotto, il fatto che esso proviene da un ciclo
energetico pulito, e questa potrebbe essere il modo in cui la
geotermia potrebbe davvero “sposarsi” col territorio, con i
suoi prodotti e con il turismo.
In questa direzione va l’iniziativa
“Comunità del cibo”, già in attuazione insieme a
Slowfood: un progetto e un modello la cui replicabilità ci viene
richiesta continuamente da aree in cui la produzione è legata
all’agroindustria: è la dimostrazione che la cosa funziona, sia dal
punto di vista economico, sia promozionale».