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Cina a caccia di tecnologia verde

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Cina. Si aprono nuove prospettive dopo l’accordo sulla riduzione delle emissioni di Co2 annunciato con gli Usa

Per centrare l’obiettivo, le rinnovabili dovranno essere convogliate con smart grid

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Rita Fatiguso

Quella dell’Apec China 2014 doveva essere una settimana libera dallo smog e così è stato: il cielo è di un azzurro abbacinante, quasi innaturale.
Con simili premesse c’è da chiedersi a quali diavolerie ricorrerà la Cina per attivare le misure appena promesse agli Stati Uniti (e al mondo intero) per tenere a bada le emissioni di Co2.
Finora Pechino non aveva mai accettato negoziati sulle emissioni, questa svolta è anche il frutto di un paziente lavoro nel quale ha ricoperto un ruolo importante il China energy research center (Cerc), un think thank sino-americano nato, guarda caso, nel 2009, all’epoca dell’ultima visita di Barack Obama. I ministri competenti cinesi e americani siedono nello steering committee che ha prodotto in questi anni fior di documenti.
L’euforia della prima ora per l’accordo Xi-Obama, tuttavia, lascia il campo a una serie di dubbi: la Cina, tanto per cominciare, dovrebbe fare molto di più perché, oltre a inquinare, ha seri problemi di riconversione del proprio modello produttivo. L’inquinamento nasce dalle fabbriche piuttosto che dal traffico, è stato evidente proprio in questi giorni di forzata inattività legata al Summit.
La crescita media delle emissioni cinesi è dell’8% all’anno, le emissioni di CO2 sono infatti ancorate all’unità di Pil. Se il Pil aumenta dell’8, di conseguenza aumentano le emissioni di Co2. Oggi la Cina genera quantità di Co2 pari alla somma di quelle degli Usa e dell’Europa, l’unico rimedio per tenerle a bada è mettere un limite alle emissioni massime.
Cosa che la Cina si è sempre rifiutata di fare, questa è la prima volta che si impegna a tenere a freno la crescita dei gas serra. La decisione era nell’aria, il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti se l’è sentita raccontare in anteprima dai vertici dell’Ndrc, la National and development reform commission, responsabile delle decisioni in tema di Co2, proprio in occasione della visita fatta a Pechino la scorsa settimana.
«I cinesi si stanno preparando molto bene al vertice di Lima in calendario il mese prossimo – aveva detto il ministro al Sole 24 Ore al termine di un incontro in ambasciata – e soprattutto guardano al vertice di Parigi. L’apertura al blocco delle emissioni è fattibile, siamo noi a dover enfatizzare i risultati appena raggiunti dall’Unione europea sul versante della lotta all’inquinamento, un po’ in sordina, ma l’impegno è stato notevole, i risultati si vedranno». L’approccio comune Cina-Usa a su volta dovrebbe infatti stimolare gli sforzi per negoziare un nuovo accordo globale sul clima entro il 2015 a Parigi. Barack Obama ha annunciato l’impegno degli Usa per una riduzione del 26-28% delle emissioni entro il 2025, mentre Pechino fisserà il picco massimo delle emissioni entro il 2030.
Questo termine cinese è davvero molto lontano, 16 anni. Tanto più che per raggiungere l’obiettivo Xi Jinping ha annunciato che le cosiddette fonti energetiche pulite, come l’energia solare e eolica, potrebbero rappresentare il 20 per cento della produzione totale cinese entro il 2030. Questo rappresenta un ulteriore sforzo per la Cina che su questo versante la Cina sta lottando tra aiuti di stato a fabbriche afflitte da sovraproduzione e guerre commerciali combattute con mezzo mondo per riuscire a smaltire prodotti come i pannelli solari rimasti in magazzino. Il vero problema, per la Cina, è come utilizzarli in casa propria i pannelli o le pale eoliche, in che modo convogliare e ottimizzare l’energia prodotta. Tutto ciò richiede competenze che la Cina non ha.
E spiega lo shopping a tutto campo e la rete di alleanze attivata da giganti come State Grid o Shanghai electric per dotarsi della tecnologia necessaria a sfruttare l’energia pulita. Ne sappiamo qualcosa anche noi, in Italia, dopo le ultime operazioni che hanno coinvolto Cdp Reti e Ansaldo energia. Senza la tecnologia delle smart grid la Cina non riuscirà a onorare i patti.
L’accordo Cina-Usa, quindi, è soprattutto simbolico, il divario tra i due si restringe e la Cina esce dal comodo limbo del Paese in via di sviluppo. Anche per questo le Nazioni Unite hanno accolto con favore il patto, ben 200 nazioni dovranno impegnarsi a Parigi per un accordo sul climate change e Cina e Usa ci arrivano meno in affanno.
Ma la tabella di marcia del cambiamento è lenta, al punto da rendere difficile l’obiettivo tracciato nel discorso di apertura dell’Eco forum di Guyang il 18 luglio dell’anno scorso, quando il presidente Xi Jinping ha detto chiaro e tondo che «gran parte del Chinese dream sarà quello di lasciare alle future generazioni cieli blu, campi verdi e acqua pulita».