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A Washington cambia la partita dell’energia

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La vittoria dei è probabile che proprio sull’energia venfa aperto un terreno di scontro permanente con Obama negli ultimi due anni della sua gestione.

Fonte: La Repubblica – Affari & Finanza

Autore: Leonardo Maugeri

La vittoria dei repubblicani alle elezioni di mid-term potrebbe avere reazioni a catena per i mercati del petrolio e del gas naturale, con conseguenze importanti per tutto il mondo. Almeno sulla carta. L’obiettivo principe del Great Old Party (i repubblicani) è di spingere oltre ogni limite la rivoluzione della produzione di greggio e gas da shale, che pure ha già raggiunto livelli impensabili. Per farlo, i repubblicani vogliono totale libertà di trivellazione e un ruolo ridottissimo per l’Agenzia per la Protezione Ambientale, che con i suoi poteri ha arginato alcuni aspetti discutibili del boom energetico statunitense. Inoltre, mirano a eliminare il divieto quasi totale di esportazione di greggio statunitense che dura fin dagli anni Settanta: una svolta richiesta a gran voce dai produttori, costretti a vendere a prezzo scontato il loro oro nero sul mercato americano a causa di problemi di trasporto, stoccaggio e raffinazione nelle aree chiave del paese. L’insieme di queste politiche avrebbe luci e ombre per il mondo. Certamente, contribuirebbe a mantenere la spinta al ribasso dei prezzi del greggio: un bene per le economie dei paesi consumatori, un po’ meno per gli equilibri geopolitici globali. L’ipertrofia energetica americana alimenterebbe un’onda lunga di destabilizzazione di paesi critici per l’ordine mondiale. Si parla di Russia, Iran, Arabia Saudita, le cui entrate dipendono per oltre il 50% dal petrolio, con conseguenze assai rischiose. Troppa produzione potrebbe spingere i prezzi ancor più in basso di oggi, minando i ritorni dei produttori americani e portando alla diminuzione della produzione Usa. Quanto al maggiore export di greggio, è vero che i petrolieri statunitensi ne possono beneficiare solo per volumi ridotti (nelle ultime settimane 400mila barili al giorno) ma raffinatori e trader sono liberi di esportare prodotti petroliferi finiti, a partire dalla benzina, e di recente sono arrivati a venderne all’estero oltre 4 milioni di barili al giorno. In Europa in particolare, l’escalation ha messo alle corde il settore della raffinazione petrolifera, già in una situazione critica perché afflitto da eccesso di capacità. Quanto al gas naturale, al pari dei democratici ma con maggiore aggressività, i repubblicani intendono sfruttarne l’enorme produzione interna come strumento di politica estera, soprattutto a favore dell’Europa e in chiave anti-russa. Tuttavia, tra l’astrazione politica e la realtà dei fatti c’è un abisso. Come per il petrolio, i produttori di gas americani vorrebbero esportare quanto più gas possibile per trarre vantaggio dai prezzi molti più alti del metano sui mercati internazionali. Finora il governo Usa si è mosso con grande cautela, autorizzando solo tre impianti di liquefazione del gas, che una volta costruiti avranno una capacità di poco maggiore di 60 miliardi di metri cubi l’anno. Ci vorranno almeno 4 anni perché la loro costruzione sia ultimata; nel frattempo, è probabile che altri impianti siano autorizzati, fino a raddoppiare la capacità di esportazione. Nel migliore dei casi, il pieno potenziale non sarà raggiunto prima del 2022-2023. Molti ipotizzano numeri assai più alti guardando agli oltre 40 progetti di impianti per i quali è stata chiesta l’autorizzazione: in realtà, la stragrande maggioranza di quei progetti rimarrà sulla carta, per almeno tre motivi. Anzitutto, troppo gas esportato farebbe aumentare il prezzo del metano sul mercato statunitense, a partire da quegli Stati (come il Texas) a maggioranza repubblicana in cui i prezzi bassi dell’energia hanno attratto molte imprese e enormi investimenti industriali. In secondo luogo, la popolazione (cioè gli elettori) conta anche per i repubblicani, e una reazione violenta all’aumento dei prezzi interni sarebbe inevitabile e non gestibile. Terzo, già oggi – con i prezzi del greggio in calo – le esportazioni di gas americano stanno diventando meno competitive, minando la fattibilità economica di molti progetti di liquefazione. Infine, mai dimenticare che il gas è di chi lo produce, non dei politici: e ai produttori interessa venderlo a chi lo paga di più. Per questo, la maggior parte del gas esportato in futuro dagli Usa andrà sui mercati asiatici, e non in Europa. Ai consumatori europei non resteranno che le briciole. Negli ultimi mesi, l’attenzione repubblicana ha cominciato a spostarsi proprio sul ruolo che il gas americano potrebbe giocare anche in Asia, a partire dal mercato cinese e – ancora una volta in chiave anti-russa. Tuttavia, mentre la caduta del prezzo del greggio ha di colpo reso più conveniente il metano di Mosca (legato al prezzo del petrolio) rispetto a quello americano (indipendente dal greggio), Cina e Russia hanno concluso due accordi storici, l’ultimo pochi giorni fa, grazie ai quali Mosca diventerà il più importante fornitore di gas alla Cina verso fine decennio. Malgrado questi problemi, i repubblicani non demordono ed è probabile che proprio sull’energia aprano un terreno di scontro permanente con Obama negli ultimi due anni della sua gestione. Il problema, per loro e per l’America, è che qualunque vittoria ottengano sarà da maneggiare con cura sul piano interno e internazionale. E forse non darà mai gli effetti sperati.