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Le proposte del Consiglio Nazionale della Green Economy per combattere il cambiamento climatico

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Il Consiglio Nazionale della Green Economy, composto da 67 organizzazioni italiane di imprese, ha presentato nell’ambito degli “Stati Generali della Green Economy” che si sono tenuti ad Ecomondo, una serie di proposte operative, in vista dei prossimi appuntamenti verso il nuovo accordo globale sul clima.

Fonte: Rinnovabili&Territorio

Autore: Redazione

“Riteniamo essenziale che a Parigi nel 2015 i Governi di tutto il mondo assumano impegni specifici per contrastare il cambiamento climatico“ scrivono le 67 organizzazioni facenti parte del Consiglio Nazionale della Green Economy nel documento “CLIMA ED ENERGIA :Verso l’Accordo post-Kyoto di Parigi 20” che fa parte dei documenti presentati agli Stati Generali della Green Economy che si sono svolti ad Ecomondo, la fiera internazionale del recupero della materia e dell’energia.
Gli impegni si rendono quanto mai necessari dato che “secondo il Quinto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, sia il riscaldamento terrestre, con un aumento progressivo delle temperature medie misurate, sia le sue cause, riconducibili in primo luogo alle attività umane, sono oramai fatti incontrovertibili”.
Ma nonostante si parli di ormai certezze scientifiche vi è una dicotomia tra queste e la risposta  istituzionale con impegni precisi.
“Ci sono oggi i tempi, le tecnologie e le risorse economiche per contrastare il riscaldamento globale.” si dice ancora “Bisogna agire rapidamente e con determinazione e oggi abbiamo un motivo in più per farlo: grazie alla green economy possiamo affrontare la sfida del cambiamento climatico avviando un nuovo corso per l’economia, in grado di dare maggiore benessere, più sicurezza, migliori opportunità di lavoro alle generazioni attuali e a quelle future”.
Vediamo quali sono nello specifico gli impegni che il Consiglio Nazionale della Green Economy chiede ai Governi di tutto il mondo che vengano assunti nel corso della Conferenza nazionale delle parti che si terrà a Parigi nel 2015: innanzitutto si chiede che venga identificato un obiettivo globale di riduzione delle emissioni di gas serra in grado di garantire, secondo gli scenari dell’IPCC, il rispetto della soglia dei 2°C e da questo punto di vista il recente accordo tra USA e Cina in cui la potenza americana promette di tagliare la produzione di CO2 fra il 26% e il 28% entro il 2025 e Pechino ad invertire la rotta entro il 2030 e produrre il 20% dell’energia da fonti alternative sembra essere una spinta importante per rinnovare il protocollo di Kyoto.
Il secondo degli impegni richiesti prevede di tradurre l’obiettivo globale di riduzione di gas serra in target nazionali legalmente vincolanti, supportati con modalità di controllo e sanzioni, e proporzionati alle emissioni pro capite. Inoltre si chiede di individuare gli strumenti adeguati al raggiungimento degli obiettivi, a partire da sistemi di tassazione del carbonio, anche tenendo conto delle emissioni connesse al consumo dei prodotti, eliminando i sussidi alle fonti fossili e avviando un programma di riallocazione in favore di tecnologie e processi a basse emissioni.
In tutto questo il Consiglio della Green Economy ritiene che l’Unione Europea, che è il più grande mercato del mondo dopo gli USA, debba avere il ruolo di orientare e incidere sulle politiche globali, potendo al contempo trarre enormi vantaggi in termini di competitività economica da un accordo globale sul clima sufficientemente ambizioso.
“Anche per questo, oltre che per l’importanza della sfida in sé, riteniamo –scrivono- che l’Europa possa, anzi debba, tornare ad assumere un ruolo di primo piano a livello mondiale nelle trattative e nelle politiche per il clima lavorando almeno su due fronti: promuovendo il coinvolgimento dei grandi paesi emettitori in un percorso di condivisione di un target globale di riduzione e dotandosi per prima di target ambiziosi e vincolanti sulla riduzione delle emissioni di gas serra, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica”.
Scendendo su scala nazionale si ritiene che “in Italia il tessuto produttivo legato ai beni e servizi low-carbon è cresciuto, raggiungendo dimensioni consistenti, anche in confronto agli altri partner europei, e creando migliaia di posti di lavoro in una fase economica recessiva. Negli ultimi anni, tuttavia, il Paese ha risentito –come altri Stati Membri– di politiche incoerenti che rischiano di inficiare i buoni risultati raggiunti. L’Italia ha le carte in regola per scommettere su una economia e una società a basse emissioni di carbonio rilanciando un vero Green New Deal e tornando a essere competitiva sul mercato europeo e mondiale“.
Per il nostro Paese il Consiglio Nazionale ha individuato tre ambiti su cui agire in via prioritaria: “promuovere livelli di crescita delle fonti rinnovabili in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione, lavorando sulla programmazione, sulla semplificazione e su nuovi strumenti di sostegno economico; rafforzare le misure di efficienza energetica per permettere di utilizzare il potenziale presente negli edifici esistenti, nella Pubblica Amministrazione e nel settore industriale; sviluppare una politica integrata per la mobilità sostenibile in grado di invertire la tendenza di quello che è oramai il primo settore per consumi ed emissioni a livello nazionale;promuovere nell’esercizio della delega fiscale del Governo italiano la riallocazione delle risorse a favore della conversione produttiva low carbon”.