I risultati di un rapporto realizzato
dal Centro Europeo di ricerca (Cer), guidato da Giorgio Ruffolo,
indicano che raggiungere gli obiettivi richiesti a livello europeo,
sull’efficienza energetica e sulla quota di energie rinnovabili,
significherebbe nel lungo periodo tradurre gli investimenti fatti in
crescita economica.
«Le fonti energetiche rinnovabili sono
importanti dal punto di vista economico, perché significa sviluppare
tecnologia soprattutto se si punta a sviluppare la parte a monte
anziché quella a valle, che dà anche maggiori impatti occupazionali
– ci ha detto Alessandro Carrettoni, responsabile del rapporto –
lavorare su una maggiore efficienza energetica aiuta particolarmente
ad ottenere gli obiettivi ambientali».
I tre scenari considerati dal Cer su
cui sono state condotte simulazioni di investimenti e ritorni
economici, si riferiscono a tre ipotesi: il solo dispiegamento del
potenziale delle fonti energetiche rinnovabili (Fer), così come
previsto dal Position paper del governo del settembre 2007; il
raggiungimento degli obiettivi fissati per l’Italia nel pacchetto
clima-energia europeo (cioè un livello di emissioni pari a circa 481
Mton e sviluppo delle rinnovabili al 17% sui consumi finali di
energia); il superamento degli obiettivi che ci spettano come quota
paese sulla base del pacchetto 20-20-20, mirando ad una riduzione
delle emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990 e al
raggiungimento di una quota delle Fer pari al 20%.
Le simulazioni condotte sui tre scenari
confermano che il solo sviluppo del potenziale Fer (prima ipotesi)
non aiuterebbero l’Italia né a raggiungere la quota richiesta a
livello europeo (15,6 anziché il 17%), né a rispettare le riduzioni
di Co2 (555 anziché 481 Mton). In termini economici per aumentare da
qui al 2020 la produzione di energia da fonti rinnovabili rispetto
alla situazione attuale pari a un ulteriore 10,6 Mtoe (tep
equivalenti) significherebbe un investimento pari a 74,7 mld di euro
complessivi (6 mld di euro all’anno). Questo avrebbe un potenziale
positivo sul pil dato che la spesa sarebbe pubblica, con un effetto
non troppo gravoso sul disavanzo.
In questo caso peserebbe anche il fatto
che la domanda di impianti da installare deriverebbe quasi totalmente
da importazioni, dal momento che l’offerta nel nostro paese risulta
al momento totalmente insoddisfacente, anche per il fatto che le
misure pubbliche di sostegno si sono concentrate e continuano a farlo
tutte sulla domanda e non sull’offerta.
Una situazione che secondo il Cer
sarebbe assolutamente reversibile e puntare in questa direzione
avrebbe ricadute positive che andrebbero ben oltre il “vantaggio
derivante dal migliore sfruttamento di un vasto mercato potenziale”.
Investire in ricerca e incentivi nella filiera nascente potrebbe
avere infatti effetti positivi su tutti gli altri settori produttivi
e darebbe un impulso occupazionale molto più spiccato che non quello
prodotto dalla sola fase di installazione.
Nel secondo scenario si ipotizza di
raggiungere gli obiettivi che ci derivano dal pacchetto clima energia
europeo, che significa mantenere lo sforzo sulle rinnovabili e
raggiungere al 2020 una riduzione del 16% delle emissioni rispetto ai
livelli del 2005.
Per far questo servirebbe attuare un
risparmio energetico pari a 18,3 Mtoe, con un costo stimato in 66 mld
di euro complessivi, pari a 5 mld di euro all’anno. «Gli scenari
economici non sarebbero tanto diversi dall’ipotesi precedente- ci
spiega Carrettoni- sia in termini di Pil che di disavanzo, ma quello
che cambia sono invece gli obiettivi ambientali. Con un investimento
stimato in 114 miliardi di euro, ottengo il 17% delle rinnovabili
realizzando lo stesso potenziale previsto dal Position paper del
Governo, perché aumento l’efficienza energetica, quindi riesco a
rispettare gli obiettivi del pacchetto 20-20-20 sia in termini di
rinnovabili che di emissioni».
Nelle ipotesi fatte dal Cer il costo
dello sviluppo delle Fer sarebbe a totale carico del settore
pubblico, mentre il piano di efficienza energetico solo parzialmente,
utilizzando i sussidi del 55%. E rispetto al primo scenario se al
2010 l’indebitamento sarebbe più alto, tenderebbe man mano ad
annullarsi al 2020, indicando “una notevole capacità di
autofinanziamento del progetto complessivo”.
«Dal punto di vista della finanza
pubblica questo comporterebbe la necessità di trovare uno spazio non
indifferente nel bilancio pubblico – dice Carrettoni – ma non
sembra affatto insostenibile».
A cui si deve aggiungere il
contributo dato dal minor esborso da parte del sistema paese per
comprare i crediti di emissione sul mercato internazionale.
Considerazioni che risultano ancora più valide nel terzo scenario,
quello più virtuoso, che prevede di rispettare non solo gli
obiettivi ma anche la filosofia del pacchetto 20-20-20.
In questo caso si suppone di ottenere
gli obiettivi di 20% di rinnovabili, 20% di efficienza e 20% di
risparmio energetico, mantenendo invariato il potenziale delle Fer e
lavorando di più sull’efficienza energetica. Servirebbe
naturalmente un maggior investimento da parte dello Stato verrebbe
compensato da un incremento del pil (+7,5% durante la fase di
accumulo degli investimenti e +2,7% a regime) e come effetti sul
disavanzo pubblico un iniziale peggioramento per 5 decimi di Pil ma a
partire dal 2025, un miglioramento che a regime risulta pari a 4
decimi di punto.
Uno scenario interessante, se
dovesse essere lei a sceglierlo lo perseguirebbe?
«E’ uno scenario molto ambizioso –
ha risposto Carrettoni- ma se l’Italia si muovesse su entrambe le
leve, del potenziale delle Fer e sull’efficienza energetica sarebbe
già un buon risultato. A noi serve in particolare lavorare
sull’efficienza energetica e sullo sviluppo della filiera delle
rinnovabili a monte, puntando su tecnologia e sugli aspetti
qualitativi e potremo perseguire il secondo degli scenari».